La Costituzione dedica alla più alta carica dello Stato otto articoli su 138: segno anche questo che i padri costituenti intesero conferire al vertice delle istituzioni nazionali il minor numero di poteri possibili, vista la parentesi appena chiusa del fascismo.
Elezione, requisiti ed eventuale messa in stato d’accusa del Presidente sono quindi concentrati in quella parte della carta fondamentale che va dall’articolo 83 al 91. Il primo atto dell’elezione è la convocazione, da parte del Presidente della Camera, dei comizi elettorali. Ad eleggere il Capo dello Stato sono le due Camere riunite in seduta comune, con la partecipazione dei rappresentanti delle regioni (tre delegati ognuna, a parte la Val d’Aosta che ne ha uno).
La votazione è rigidamente a scrutinio segreto (ma questo non impedì a Ciriaco De Mita di essere sorpreso nel 1962 a votare contro Segni, candidato ufficiale della Dc, e di finire sospeso dal partito). Il quorum è variabile: le prime due votazioni richiedono una maggioranza qualificata di due terzi, successivamente basta la maggioranza semplice. Il primo caso si è verificato solo due volte, con Enrico De Nicola (primo Capo dello Stato) e con Francesco Cossiga.
Oscar Luigi Scalfaro è stato eletto dopo un paio di settimane di votazioni infruttuose (dal 13 al 25 maggio 1992) interrotte solo dai week-end. I requisiti per essere eletti sono pochi, ma molto rigidi. Bisogna avere compiuto i 50 anni, essere cittadini italiani e godere dei diritti civili e politici. Non ci sono limiti alla rieleggibilità, ma si tratta di un caso mai accaduto (nonostante quasi tutti gli inquilini del Quirinale abbiano fatto sapere in modo più o meno esplicito di essere interessati ad un rinnovo del mandato).
Il settennato inizia al momento del giuramento di fedeltà alla Repubblica ed alla Costituzione. Altrettanto severe le incompatibilità con la carica di Presidente della Repubblica: non si può ricoprire nessun’altra carica, né pubblica né privata, o svolgere una qualsivoglia attività professionale.
Non esiste inoltre un vicepresidente: in caso di prolungata assenza dalla sede (per un viaggio all’estero, ad esempio) o di impedimento fisico (come fu per Antonio Segni dopo il dicembre 1964) la supplenza viene esercitata dal Presidente del Senato. Tutte speciali le guarentigie di cui gode ed a cui è sottoposto un Presidente.
Il Presidente non è responsabile per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, salvo che per i reati di alto tradimento ed attentato alla Costituzione. In questo caso è il Parlamento a porlo in stato d’accusa, al termine di una riunione in seduta comune e di fronte alla Corte Costituzionale (mai
successo fino ad ora). È materia di interminabili discussioni accademiche la possibilità di chiamarlo di fronte alla giustizia in caso di eventuali reati da lui commessi nel settennato, ma non nell’esercizio delle sue funzioni, oppure commessi prima dell’elezione ma venuti alla luce dopo di questa.
Un principio, quello dell’"irresponsabilità", a cui si affianca quello della "controfirma": ogni suo atto, per essere valido, deve essere controfirmato da qualcuno: il ministro competente se non, a seconda del caso, lo stesso Presidente del Consiglio. Principio che non si applica se il Capo dello Stato
svolge una delle tre funzioni che esplicitamente gli attribuisce la Costituzione, cioè quelle di presidente del Consiglio Supremo di Difesa, presidente del Consiglio Superiore della Magistratura e rappresentante dell’unità nazionale.
Secondo l’articolo 74 della Costituzione, può anche rinviare alle Camere le leggi sulla cui costituzionalità nutre qualche dubbio, o che non abbiano copertura finanziaria (Ciampi lo ha fatto con la Gasparri, la riforma della giustizia e una serie di provvedimenti minori). Inoltre esercita poteri
cosidetti di "stimolo e di controllo", nei quali rientra quello di inviare messaggi alle Camere, nominare i senatori a vita ed i giudici costituzionali. Nel settennato ciampiano, di messaggi se ne è registrato uno solo: quello del luglio 2001 sulla tutela della libertà di informazione. Nemmeno uno, invece, da parte di Napolitano.
Infine, quelli che sono i veri e propri poteri politici.
Il Presidente della Repubblica prende atto dell’incapacità del Parlamento di dar vita ad una maggioranza di governo, e decide lo scioglimento anticipato delle camere (Scalfaro lo ha fatto due volte: nel 1993 e nel 1996), conduce le sue consultazioni tra i gruppi parlamentari prima di nominare il presidente del Consiglio incaricato (può anche affidare un mandato esplorativo o addirittura un preincarico, lo si è appena visto), nomina su proposta del presidente del Consiglio i singoli ministri. Ma che abbia diritto di "aperitio oris" sulla loro scelta è, come in tanti altri casi, materia di discordia tra gli interpreti della Costituzione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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