Quando la scorsa estate in molti imploravano a Mario Draghi di non dimettersi da presidente del Consiglio per far sì che il suo governo arrivasse (almeno) fino alla scadenza naturale della legislatura parlamentare (marzo 2023) la motivazione che si adduceva era, in sintesi, la seguente: con il voto anticipato a fine settembre non ci sarebbe stato il tempo tecnico per mettere a punto una manovra che mantenesse in ordine i conti, che non facesse entrare il nostro Paese nell’esercizio provvisorio e che contribuisse a portare a termine tutti gli obiettivi del Pnrr. Del resto, "se nella storia della Repubblica italiana non si sono mai tenute le elezioni politiche in autunno ci sarà stato un motivo o no?", si chiedevano sornioni i gufi anti 'urne nel 2022'. Insomma, secondo costoro, Giorgia Meloni avrebbe dovuto affrontare una missione impossibile: sicuramente avrebbe fallito. Ecco, alla prova dei fatti, tutte le 'vedove' di Super Mario sono state completamente smentite.
Un autunno trascorso senza intoppi
I primi 100 giorni dell’esecutivo guidato dalla leader di Fratelli d'Italia hanno messo in evidenza il fatto che, se c'è una maggioranza compatta e – allo stesso tempo – la volontà politica di realizzare in così breve tempo tutti i provvedimenti economici che si erano prefissati nell’autunno immediatamente post-elettorale, allora i progetti si possono veramente mettere in atto. Prendiamo la Legge di Bilancio: il centrodestra di governo ci ha lavorato per poco più di un mese partendo dalla Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza – ovvero dall'ossatura programmatica – scritta da Draghi. Promossa da Commissione Europea, Quirinale e Ragioneria dello Stato, il risultato è stato una manovra 'pulita' e approvata a tempi di record, evitando così lo spetto dell'esercizio provvisorio.
Ma anche per quanto riguarda il Piano nazionale di ripresa e resilienza gli anti-meloniani sono stati messi totalmente a tacere. A fine dicembre scorso, infatti, sono stati incassati i provvedimenti rimanenti per completare l'iter di riforme che il governo italiano si era impegnato a completare per sbloccare la seconda tranche del 2022 del Pnrr. Tra l’altro, su questo tema c'è da considerare che soltanto 25 obiettivi del Pnrr per la fascia giugno-dicembre erano completi al momento della caduta del governo Draghi e che i dati Openpolis a inizio dicembre parlavano del fatto che i traguardi da raggiungere in termini di riforme avrebbero potuto arrivare a 40 su 55, contando anche le riforme dell’ex presidente della Bce da completare. I vari Enrico Letta, Sandro Gozi e Luigi Di Maio – tra gli altri – si dicevano convinti che l'Italia non ce l'avrebbe mai fatta e il nuovo governo ci avrebbe fatto perdere i soldi. Secondo l'ex Ministro degli Esteri, inoltre, senza Draghi sarebbero dovuti saltare sia il Pnrr (e le riforme connesse) sia il tetto europeo al gas. Ironia della sorte, sono due dei risultati centrati dal governo Meloni.
La strada del governo è ancora lunga
Certo, una volta oltrepassato questa prima simbolica tappa temporale, sono naturalmente ancora tantissime le iniziative da intraprendere – a partire da un'ulteriore calmierazione delle bollette – e le sfide da affrontare sulle riforme fiscali, del lavoro, delle infrastrutture, della giustizia e della Costituzione. Tuttavia davanti restano ancora ben quattro anni e nove mesi di lavoro. Alla faccia di tutte quelle prefiche inconsolabili che non vedono l'ora di assistere anche a una piccola scossa di assestamento in modo da rifilarci magari un Draghi bis.
Le elezioni regionali in Lombardia e Lazio, che si svolgeranno tra pochi giorni, saranno già un bel primo test politico per consolidare la maggioranza di governo e per zittire (almeno per una settimana) i soloni di sinistra. L'Apocalisse è rinviata a data da destinarsi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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