Tramonto dei voltagabbana: sognavano un posto al sole sono finiti nel cono d'ombra

Hanno dato il colpo di grazia al governo Berlusconi. Oggi Silvio è ancora in gioco e loro sono già scomparsi

Tramonto dei voltagabbana: sognavano un posto al sole sono finiti nel cono d'ombra

Roma - «Bruto è un personaggio da rivalutare, un cattivone che ha però una strategia, una visione». La frase sembra pescata da una differente era geologica ma è di appena sei mesi fa. A pronunciar­la fu Fabio Gava, uno degli attori (non protagonisti) del rovente au­tunno del governo Berlusconi, ro­solato in aula a fuoco lento tra il settembre e il novembre dello scorso anno da un drappello di «frondisti», «traditori» o «corag­giosi ribelli» (a seconda dei punti di vista), impegnati nell’opera­zione «sgambetta-Silvio».

Cosa resta di quella breve sta­gione di veleni, intrighi, lettere anonime finite sui giornali, terro­re delle urne, panico da elezioni anticipate, diplomazie impazzi­te, frenetico «Camera-mercato», reclutamenti notturni e votazio­ni thriller ? Ma soprattutto cosa ri­mane dei protagonisti di quella sortita, delle promesse di un futu­r­o di sorti magnifiche e progressi­ve improvvisamente piovute su prime, seconde e terze file parla­mentari, solleticate nella loro va­nità da attenzioni incrociate e dal brivido della ribalta? Sono passati quasi quattro me­si dalle dimissioni del governo Berlusconi e sogni, ambizioni, vo­li pindarici hanno dovuto fare i conti con la realtà. Se il Pdl arran­ca e sa bene di dover pagare un prezzo alto alla scelta di sostene­re il governo Monti, gli strateghi del «semi-ribaltone» si muovono a tentoni alla ricerca di una busso­la. Alcuni si sono iscritti di diritto alla categoria missing , scompar­si, prigionieri di un prematuro oblio, scoloriti in gruppi dalle di­zioni nostalgiche o dai nomi im­probabili. Altri coltivano sogni di rielezio­ne e tempestano i colonnelli dei gruppi parlamentari che li han­no accolti, con richieste, propo­ste di legge, convegni sul territo­rio «ai quali devi assolutamente essere presente», nella speranza di strappare il biglietto della rico­noscenza.

Altri non riescono a staccarsi dalla ragione sociale ori­ginaria e si aggrappano a un anti­berlusconismo fuori tempo mas­simo e alla inconfessabile nostal­gia dell’uomo nero. Pier Ferdinando Casini, il più lanciato tra i registi dell’operazio­ne Monti, si muove con pruden­za. Respinge ma non troppo le si­rene del Pdl, immagina nuovi contenitori, grandi forze popola­ri, partiti della nazione, prova a stemperare i veti finiani sui candi­dati benedetti da via dell’Umiltà per le amministrative, scommet­te sull’esecutivo. Ma soprattutto cerca di intestarsi l’eredità del go­verno Monti, immaginando un montismo che sopravviva al suo creatore. Il tempo, però, inevita­bilmente scorre, il panorama re­sta incerto e pur essendo Casini in pole position per quasi tutti gli scenari, non può non fare i conti con lo spettro della «Tecnocrazia Cristiana» e con i possibili «newcomers»,leggi Corrado Pas­sera e Andrea Riccardi. Se il leader Udc disegna sche­mi «grancoalizionisti»,Gianfran­co Fini- a Washington per la Con­fer­enza dell’ American Israel Pub­blic Affairs Comitee - si interroga sul da farsi.

Fli ha passato ormai l’anno di vita, ma fatica a indivi­duare un’identità, una missione politica, una prospettiva, al di là dell’influenza esercitata sulle sor­ti della legislatura attraverso i suoi parlamentari (eletti nelle li­ste del Pdl). Il partito si prepara a lanciare la sua «Fase Due» a Mari­na di Pietrasanta il prossimo 17 e 18 marzo. Il titolo e il sottotitolo sono inevitabilmente ambiziosi: «Sarà bellissima. Proposte per l’Italia dei prossimi vent’anni». I futuristi, però, si muovono in ordine sparso. Alcuni temono di rimanere prigionieri del monti­smo, altri non vogliono liquidar­lo alla stregua di una parentesi. Fi­ni sopporta a fatica il protagoni­smo di Casini, consapevole che il leader Udc non contempla il Ter­zo polo come orizzonte strategi­co. Il rischio di restare prigionie­r­o dentro un partito centrista gui­dato da Casini è evidente. E così dentro Fli ci si aggrappa all’idea di una federazione, qualcosa che possa esorcizzare il pericolo del­l’invisibilità. Una preoccupazio­ne che grava anche su Italo Boc­chino. Reduce dalla stagione mo­vimentista, dall’ubriacatura me­diatica che lo ha investito grazie al ruolo di novello campione del­­l’antiberlusconismo e punta di lancia del ribaltamento del gover­no eletto, oggi l’allievo di Pinuc­cio Tatarella sperimenta un dolo­roso rientro nelle retrovie. Nel novero dei protagonisti di quella confusa stagione c’è an­che Giuseppe Pisanu. Il senatore mantiene l’incarico di presiden­te de­ll’Antimafia e non ha mai la­sciato il gruppo del Pdl. Ha prova­to a lanciare «Monti come candi­dato n­el 2013 di una coerente coa­lizione politica », provocando ma­lu­mori a livello governativo e poli­tico.

Per il resto si concentra sui t­e­mi della sua regione contestando «la ripartizione del gettito Imu tra Regioni a statuto speciale e or­dinarie, con una evidente pena­lizzazione delle prime». E poi Claudio Scajola. Identificato co­me il leader dei frondisti interni al Pdl, riuscì attraverso una se­quenza di dichiarazioni sulla ne­cessità di «porre fine all’agonia e aprire una nuova stagione», a to­gliere certezze al gruppo parla­mentare. Alla prova dei fatti, pe­rò, Scajola votò la fiducia all’ese­cutivo. Ora è un saldo sostenitore del governo, insiste sulla necessi­tà di una costituente dei modera­ti e guarda «al grande movimen­to di associazioni, persone, idee che ha sollevato l’incontro di To­di nel mondo cattolico».

È però costretto a incassare la perdita della leadership a Genova a van­taggio del senatore Luigi Grillo, mentre a Imperia il nipote, Mar­co Scajola, ha strappato facilmen­te la palma di coordinatore. E gli altri reduci dello scisma di Montecitorio? Alcuni di loro han­no creato una ridotta in Parla­mento con il gruppo «Popolari Li­berali per l’Italia - Pli». Una sigla di cui fanno parte Fabio Gava, Ro­berto Antonione, Giancarlo Pit­telli e Giustina Destro, insieme a Luciano Sardelli e che si dice inte­ressata «ai nuovi progetti della po­litica », con particolare attenzio­ne alle mosse di Montezemolo. E se Francesco Stagno d’Alcontres si è accasato con Gianfranco Mic­cichè, Santo Versace nell’Api di Francesco Rutelli, Gabriella Car­lucci, protagonista del «tradi­mento » che più ha colpito a livel­lo umano Silvio Berlusconi, è og­gi responsabile del dipartimento cultura e spettacolo dell’Udc (ol­tre che sindaco Pdl di Margherita di Savoia).

Un incarico che svol­ge con dedizione, tartassando di richieste e proposte il mal capita­to Casini. Tanto che la vecchia volpe democristiana, Paolo Ciri­no Pomicino- uno dei reclutatori più efficaci di quelle ore convulse - l’ha lodata come deputata mo­dello e cattolica liberale final­mente coerente con il proprio cuore centrista.

D’altra parte come dimentica­re il tweet del blogger Diego Bian­chi che al momento del cambio di gruppo scrisse: «La foto della compagna Carlucci si erge sulla home di Repubblica . Quale mini­stero daremo a Gabriella? ». Un in­te­rrogativo stemperato dal moni­to di un altro «navigatore»: «Casi­ni, perché tu lo sappia: le disgra­zie vengono tre a tre. E qui manca­no ancora due sorelle Carlucci».

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