Anche i partiti stanno facendo la loro parte nella spending review: al rialzo. Consapevoli del momento drammatico, continuano indefessi a mungere denaro pubblico con la struggente formula dei rimborsi elettorali. Come dice la parola stessa, il rimborso dovrebbe rimborsare. Una spesa. Ma riguardando i conti delle Regionali 2012, la Corte dei conti rileva che i conti non tornano. Il documento dei sommi contabili assume i toni di uno schiaffo: ai sacrifici, alla logica, ma soprattutto alla morale.
Abbiamo due forme dichiaratamente offensive di assurdo: in molti casi i partiti incassano rimborsi senza avere speso nulla, in tanti altri incassano comunque molto più di quanto abbiano speso. Si legge: «Il contributo è stato erogato anche a formazioni politiche i cui rappresentanti hanno presentato dichiarazione di non aver sostenuto spese. E non sono pochi: ben 67». Poi il resto: «Per il rinnovo dei Consigli regionali del marzo 2010 sono stati attribuiti rimborsi pari a 37.797.396 euro nell'anno 2010 e 36.428.507 nell'anno 2011, a fronte di spese documentate per 62.926.376. Si andrà avanti così sino al 2014, fine legislatura. La differenza è 11.299.527 euro».
Il rapporto con il denaro del popolo è talmente sprezzante, strafottente, volgare, che i partiti non si accontentano di incassare senza ritegno, ma lo fanno pure in modo sciatto e confusionario. La Corte rileva a sorpresa: «46 formazioni hanno presentato il consuntivo oltre i 45 giorni previsti dal regolamento, mentre 51 partiti risultavano ancora inadempienti, nonostante fossero ampiamente scaduti i termini». Sono magnifici: non ritengono nemmeno doveroso, quanto meno elegante, rispettare le procedure e le scadenze della burocrazia. Più che un rimborso democratico, ha tutta l'aria di uno sguaiato saccheggio.
Amenità tra le amenità: come rileva ancora la Corte, «ci sono otto casi di partiti dichiarati decaduti, di cui sette sono stati riammessi al beneficio del contributo statale». Ma è giusto e normale chiedersi: chi, materialmente, firma questo genere di capolavori all'italiana? «A deciderlo è l'ufficio di Presidenza della Camera», precisa la Corte. Doverosa nota di cronaca: solo una formazione politica ha rinunciato al contributo, il Movimento 5 stelle di Grillo.
Arrivando alle conclusioni, la povera Corte non riesce a trattenere lo sdegno, neppure foderandolo di velluto e di prudenza istituzionale. Così commenta, con linguaggio pudico, la sua odissea nello strazio: «L'assoluto scostamento tra le spese effettivamente sostenute ed il rimborso erogato non appare ragionevole».
No, non è ragionevole. Diciamola tutta, noi che non siamo tenuti agli eufemismi: è delirante. Già pretendere d'essere rimborsati per manifesti e materiale elettorale, per comizi e raccolta firme, per sedi elettorali e viaggi, per telefoni e spedizioni postali, già questo, in una tale fase storica, è difficile da accettare. Se poi incassano pure quando non spendono nulla, o comunque più di quanto spendano (unica attività economica in utile, a livello italiano, le elezioni), allora sfondiamo direttamente nello scandaloso.
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