Fino a pochi mesi fa l’interlocutore unico del Vaticano all’interno del mondo della politica era Gianni Letta. Gentiluomo di Sua Santità dal 2008 - unico politico a cui venne concesso un simile privilegio - ha tessuto i rapporti con la Santa Sede per anni, godendo di un canale riservato che lo portava in qualsiasi momento a conversare direttamente con il segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone. La Santa Sede aveva un problema? Risolveva tutto Gianni Letta.
Oggi molte cose sono cambiate. Nell’era del governo Monti gli interlocutori sono diversi, tanto che non è facile nemmeno per le gerarchie vaticane valutare di volta in volta chi chiamare, con chi trattare, a chi chiedere aiuti e all’occorrenza favori.
Mario Monti mantiene con la Santa Sede un profilo che non va oltre l’istituzionale, in udienza dal Papa si attiene al protocollo e non bacia la mano al Pontefice, un certo distacco che tuttavia non dispiace oltre il Tevere dove l’«esecutivo di buona volontà» - così il cardinale Angelo Bagnasco il 23 gennaio scorso - ha ricevuto parole di apprezzamento, moderato ma comunque reale, sia dal giornale ufficiale, l’Osservatore Romano, sia da quello meno ufficiale ma i cui scritti non escono senza un imprimatur dall’alto, la Civiltà Cattolica.
Oltre l’apparenza, oltre la cortesia, a volte fredda altre volte più sentita, tra chi guida il Paese e chi ha in mano il governo in Vaticano, c’è molto altro: telefonate, missive, incontri riservati di volta in volta con interlocutori diversi: «i piccoli Gianni Letta», come li chiamano in Vaticano. Perché per la Santa Sede far sentire il proprio peso sull’altra sponda del Tevere resta una questione decisiva, capitale. E lo sanno bene all’ambasciata d’Italia presso il Vaticano dove le grane che un tempo venivano girate nelle mani di Letta debbono essere oggi «distribuite» di volta in volta in mani differenti.
L’ultimo esempio in ordine di tempo è di giovedì scorso. Nel giorno in cui la Cassazione stabiliva che le coppie omosessuali non possono sposarsi, ma devono godere di quei diritti che permettono una vita familiare, in Vaticano si domandavano chi fossero quegli interlocutori più affidabili coi quali almeno confrontarsi in merito: Andrea Riccardi, Lorenzo Ornaghi, Rocco Buttiglione, Maurizio Lupi, Giuseppe Fioroni? Senz’altro ognuno di questi nomi è oggi prezioso per la Santa Sede - e non è un caso che a due di loro (Lupi e Buttiglione) Avvenire abbia chiesto un commento in merito alla sentenza - anche se un rapporto preferenziale con il premier ce l’ha soltanto una persona: Federico Toniato, vicesegretario di Palazzo Chigi, l’unico in grado di parlare contestualmente con Monti e col cardinale Bertone, senza ulteriori intermediari.
Sul’Ici alla Chiesa una sua parte l’ha giocata Andrea Riccardi. Mentre la conferenza episcopale italiana alzava la voce per l’esenzione concessa alle scuole statali perché svolgono un servizio pubblico e il diverso trattamento riservato alle scuole private anche cattoliche, il fondatore di Sant’Egidio faceva da sponda col Vaticano. Non è un mistero per nessuno che Riccardi abbia guadagnato negli ultimi mesi un rapporto più assiduo con Bertone, mentre il riferimento principe per la Chiesa italiana, e dunque per il presidente della Cei Angelo Bagnasco, resta Lorenzo Ornaghi.
Quest’ultimo è poco appariscente, lavora più nell’ombra ma è l’unico che può vantare l’effettivo imprimatur della Cei circa la sua entrata nell’esecutivo. Un imprimatur che gli dà di fatto il mandato di vigilare sulla piega neo centrista che sembrava poter prendere inizialmente il raduno delle sigle dell’associazionismo cattolico a Todi e ancora sulla necessità di perseguire, anche in questa fase incerta di governo tecnico, la difesa dei princìpi non negoziabili che con buona pace di molti resta il faro a cui guardare, il presupposto da non disattendere.
Buttiglione, Lupi e Fioroni non sono ovviamente un riferimento per i lavori dell’esecutivo, ma con la fine del governo Berlusconi, e dunque con un certo ridimensionamento di Letta, sono divenuti figure da ascoltare circa le attività dei rispettivi partiti. E soprattutto circa gli scenari futuri.
Se c’è una cosa sulla quale Bertone e Bagnasco sembrano poter concordare è sull’obiettivo che i cattolici impegnati in politica debbono darsi di qui sino alla fine del governo Monti: spingere perché il bipolarismo non muoia seppure all’interno di un sistema proporzionale. Bipolarismo proporzionale sì, insomma, bipartitismo tout court no. Ha la benedizione delle gerarchie la spinta perché si arrivi a un sistema proporzionale con preferenze.
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