Verona, bis di Tosi al primo turno Il Carroccio vola col "leghista dc"

Successo personale del sindaco: con la sua lista conquista il 40% dei consensi. Dopo la riconferma l’asticella si sposta: vuole la segreteria veneta dei lumbard

Verona, bis di Tosi al primo turno Il Carroccio vola col "leghista dc"

Il prosecco era al fresco da tempo, i pasticcini li hanno ordinati in mattinata. Per Flavio Tosi e i suoi, l’unica incognita sul voto di ieri era la portata della vittoria. Quanto? 54, 56, forse 58%? Il sindaco leghista ha agganciato quota 57, non troppo lontano dal 60,7% conquistato cinque anni fa, quando però gli tirarono la volata anche Forza Italia, An, Udc. Tutto un altro mondo. Oggi la riconferma trionfale è tutta e solo sua. La lista civica con il suo nome è nettamente il primo partito in città: sfiora il 40%, quanto prendeva la Dc ai tempi d’oro. E si capisce perché Umberto Bossi non la voleva a nessun costo. La lista ufficiale della Lega è infatti inchiodata all’11%, che dopo gli scandali recenti non sarebbe neppure da buttare via. Il Pd, secondo partito a Verona, arranca sotto il 15.
Il Senatùr l’aveva capito ma non voleva cedere. La vecchia Lega è finita. Non è più tempo di secessione, Padania libera, Roma ladrona. Lo dice a caldo uno dei fedelissimi tosiani, Paolo Paternoster, segretario provinciale del Carroccio e presidente dell’azienda municipalizzata Agsm: «Le parole d’ordine di una volta non valgono più nulla. La gente oggi ha altri problemi, le tasse, il lavoro, i figli disoccupati. Pensiamo a questo».
La riconferma di Tosi è la vittoria di questa nuova Lega che rappresenta un’ipotesi di nuova politica nel tempo dell’antipolitica. I partiti sono stritolati. Annientato il Pdl sotto il 6%, surclassato anche dai grillini. È vero che mezzo partito era andato con Tosi, i campioni delle preferenze hanno scommesso sul cavallo vincente e ora passano all’incasso. Ma l’altra metà dei berlusconiani ha cominciato a litigare alle prime avvisaglie del terremoto. Il coordinatore cittadino Bendinelli contro il regionale Giorgetti. Gli «espulsi» contro gli «ortodossi». Il candidato Luigi Castelletti, banchiere Unicredit (dimissionario) il quale aveva incassato impassibile la gaffe di Fabrizio Cicchitto che in un comizio sotto l’Arena aveva dato la colpa della crisi proprio alle banche, ha preso meno voti dei «cinque stelle».
Non è andata meglio alla sinistra. Michele Bertucco aveva vinto le primarie, da ambientalista gentile aveva fatto una campagna elettorale efficace, ma lo schieramento di Vasto (Pd-Sel-Idv) gli ha regalato uno striminzito 22%, spolpato dai grillini, che magari dureranno poco ma intanto rastrellano voti ovunque. Terzo polo? Polverizzato.
Resiste solo Tosi. Lui dice che è merito del lavoro, «di quello che ho fatto, della mia presenza sul territorio, che è poi il mio dovere di sindaco». Per carità, non sarebbe uno dei sindaci più amati d’Italia. Ma è merito anche di una serie di mosse azzeccate, di un politico furbo che nella vecchia «sacrestia d’Italia» non teme di definirsi «l’ultimo democristiano», incassa applausi dal vescovo e dai potentati locali, distribuisce poltrone e riceve consenso. E ha capito una cosa semplice: la stagione leghista della secessione è ormai archiviata. La Lega ha ancora senso se cerca alleati, apre ai moderati, aggrega, pensa ad amministrare, resta vicina agli elettori, si mostra compatta. Anche lui è consapevole che il risultato «molto più locale che generale. Ci fossero state le politiche sarebbe stato tutto un altro paio di maniche».
Tosi è un politico abile. Ha rotto con il Pdl ma ha dato l’impressione che siano stati i berlusconiani a staccarsi. È leghista ma non perde occasione per invitare Napolitano. Si smarca dal «cerchio magico» e sfida Bossi con una lista civica che attira i voti dispersi dall’antipolitica. Garantisce (l’ha ripetuto anche ieri pomeriggio) che «il mio sarà un mandato di cinque anni, lo dico a quanti sperano che vada altrove» ma contemporaneamente apre una nuova campagna elettorale, quella per la conquista della segreteria veneta del Carroccio.
E per una volta nemmeno il profilo basso, la camicia slacciata senza cravatta, la barba non rasata riescono a dissimulare la sua ambizione. «Non escludo di poter riprendere il dialogo con il Pdl – ha detto ieri –, ma più che con Berlusconi oggi parlerei con Alfano, che del Pdl è il segretario». Come dire: i miei interlocutori non sono i colonnelli ma i generali.

È un segnale, indiretto ma non meno esplicito, anche a Roberto Maroni, il suo faro, «il miglior ministro dell’Interno di tutti i tempi, il leghista che potrà fare ripartire la Lega grazie al rispetto e alla credibilità di cui gode». Tuttavia il vero «nuovo» nel Carroccio, anche anagraficamente, non è Bobo ma Tosi, il «leghista democristiano».

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