Atreju non lo vedi, devi immaginarlo. È stato sempre così, perché se lo guardi troppo da vicino è solo gente che cammina e si stringe la mano, e ministre e ministri che cercano qualcuno che li riconosca, e peones fuori sede che guardano dal basso il mausoleo di Adriano, che la Chiesa ha reso prima una fortezza e poi una prigione, battezzandolo urbi et orbi come Castel Sant'Angelo. È le casette di legno illuminate e un Natale in miniatura, con la pista sul ghiaccio e l'albero albino e sembra davvero dicembre, mentre fuori c'è Roma con le sue sirene che non la smettono di strillare e il traffico che qui è senza stagione. È un gruppo di ragazzi che si sfida a biliardino e se ne frega di tutto quello che accade intorno. È pane e castagne. È Briatore che dice di tirare fuori i quadri dai ripostigli. È l'ombra di Buttafuoco e Sangiuliano. È la speranza di incrociare Crosetto, che pure da lontano non è poi così difficile da inquadrare. È qualcuno che giura di aver visto Elon Musk, proprio qui a Roma, una mezz'oretta fa. Mister X sarà qui ufficialmente domani, magari prima.
Ecco, se guardi tutto da vicino alla fine non capisci. Non ti spieghi la fortuna di Atreju, quella festa cominciata a Colle Oppio in un giorno di autunno del 1998, prendendo in prestito il nome dal «figlio di tutti», il bambino dalla pelle olivastra della Storia infinita, che combatte contro il nulla che ogni giorno si mangia un pezzo di fantasia. Non capisci come quei ragazzi di destra, la generazione Atreju, sia arrivata ventiquattro anni dopo a governare questa Italia sempre in bilico. Sono quegli stessi ragazzi che hai sentito, ubriachi di vino e di fatica, sillabare a squarciagola «Ti amoooooo Mario», stonando Mio fratello è figlio unico di Rino Gaetano. Quelli a ruota di Davide Van De Sfroos, in un Colosseo quadrato, a cantare le avventure di Yanez de Gomera sulla riviera romagnola. «Sandokan che ha imparato a pilotare le infradito». Atreju che per quei ragazzi era un sogno impossibile, con la voglia di credere al futuro, senza per forza morire a sinistra e neppure democristiani. Atreju irriverente contro tutti e tutto, luogo di sberleffi e goliardia, tanto da mettere in mezzo quel Gianfranco Fini al massimo della gloria, come ti racconta Fabrizio Tatarella (nella foto in basso), nipote di Pinuccio, veterano di stagione e stagioni di Atreju. È la storia di Christian, detto «hobbit», che chiese a Fini un impegno concreto per la minoranza cristiana dei fantomatici kaziri del Turkmenistan, no, non i leggendari kazari, l'unico popolo «gentile» a scegliere come religione di Stato l'ebraismo. Gianfranco farfugliò un «ho presente la situazione».
Allora per immaginare Atreju, e vederla davvero, bisogna tornare al futuro. È lì, nella piazza di questo villaggio, che tiene a bada questa giornata di gente che va e che viene. Questa stagione tocca a lei e agli altri ragazzi di «Gioventù nazionale». Si chiama Caterina Funel (foto in alto) e vive alla Garbatella. Non è una scelta. È che la vita fa incroci imponderabili. Ti dice che qui si parla tanto, ma il tempo per parlare è poco. «Dieci minuti?». «Dieci minuti». Ti racconta che hanno scelto i prati di Castel Sant'Angelo perché di solito non ci passa quasi nessuno. È quella beffa di Roma che si nasconde solo per il capriccio di stupirti ancora. Caterina ha 28 anni e nel 2011 ha scelto Giorgia Meloni. Per rabbia e sconforto. Tutto comincia con una manifestazione dei Black Bloc dalle parti di San Giovanni. È guerriglia urbana che da via Merulana va verso la basilica e distrugge quello che incontra. È una fiumana in passamontagna e brucia e distrugge, frantuma. A via Labicana c'è una palazzina. Finisce in fumo. «Era di mio nonno, un generale del genio civile». Nessun risarcimento, perché c'è una violenza che non fa rumore. «Quel giorno ho deciso di stare fuori dal branco». Il branco sono i suoi compagni di scuola, dove se non sei di sinistra stai dalla parte sbagliata, dove le parole d'ordine sono sempre le stesse, dove i «buoni» ti dicono cosa pensare. Tu sei la fascista. «Non c'entro proprio nulla con il fascismo. No, non perché sono nata alla fine del secolo. È che proprio non mi piace. Non mi appartiene». I suoi eroi sono ribelli, divergenti, con questa smania di non rinnegare la libertà. È Katniss di Hunger Games. «Non è un caso che la festa del movimento giovanile si chiama Phoenix. È la ragazza di fuoco.
È il canto della rivolta». È Shiva Amini, la calciatrice iraniana. Non crede in Dio e se le chiedi il suo orgoglio italiano, risponde: «Mio nonno». Quando le dicono che sarà la nuova Giorgia alza le mani: «Ti sbagli. Io sono solo Caterina».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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