«Vittime di gogne e minacce» Affondo anti Cav delle toghe

MilanoNon lo nomina mai, ma è come fosse il convitato di pietra. È un'allusione muta, dall'inizio alla fine dell'intervento, eppure è chiara a tutti. Non dice «Silvio Berlusconi», il presidente della Corte d'Appello di Milano. Non pronuncia quel nome, ma è a quel nome che Giovanni Canzio riserva i passaggi più duri del discorso con cui ieri inaugura l'anno giudiziario nel palazzaccio del capoluogo lombardo.
Ringrazia i suoi colleghi giudici, Canzio. E li ringrazia perché «sono stati oggetto di sommarie e ingiuste accuse di parzialità e di mancata serenità di giudizio, solo perché funzionalmente investiti della definizione di taluni procedimenti a forte sovraesposizione mediatica, per lo spiccato rilievo politico e sociale che li caratterizzava». Li ringrazia perché «alle immotivate censure, agli attacchi personali, al dileggio strumentale, talora alla infamante gogna mediatica e alle minacce a cui sono stati sottoposti», quei magistrati «hanno saputo rispondere con sobrietà, umiltà e riservatezza». La stessa a cui Canzio decide di rinunciare per sfoderare toni da scontro frontale, rispondendo così alle parole di qualche giorno fa dello stesso Berlusconi. «Quando un giorno la mia innocenza sarà pienamente riconosciuta grazie a quei giudici privi di animosità politica che io spero sempre di trovare - aveva detto il leader di Forza Italia - gli italiani potranno comprendere appieno la vera e propria barbarie giudiziaria in cui l'Italia è precipitata».
Ma non basta. È ancora più esplicito, Canzio, quando ricorda che la Cassazione ha respinto la richiesta dei legali del Cavaliere di spostare a Brescia i processi Ruby e Mediaset. Ovviamente, non dice né «Ruby» e nemmeno «Mediaset», ma è chiaro a tutti quello a cui l'alto magistrato si riferisce quando parla di una «storica decisione» presa dalla suprema Corte. La quale, «nel respingere la richiesta di rimessione di quei procedimenti ad altro distretto, motivata sul dubbio di una pregiudiziale prevenzione e parzialità dell'intero organo giudicante milanese, ha scrutinato la “lampante infondatezza” della richiesta e ha sottolineato il “commendevole impegno professionale del collegio”, profuso “nel pieno rispetto dei diritti processuali delle parti”, al fine di definire i processi in tempi ragionevoli», un «impegno che “dovrebbe apprezzarsi come nota di merito per ogni giudice”».
C'è spazio, poi, per una stoccata alla «controriforma del falso in bilancio e delle false comunicazioni sociali» del 2002, all'auspicio che «i comportamenti dei rappresentanti delle istituzioni e dei poteri dello Stato non determinino l'effetto di indebolire l'indipendenza della magistratura», e infine alla speranza che la «Giustizia possa essere amministrata \ senza gratuite denigrazioni, sistematici e inaccettabili attacchi al prestigio e alla credibilità dell'Istituzione». E poiché tutto si tiene - anzi tout se tient, per usare le sue parole - Canzio rivolge un appello ai magistrati per l'«adesione alle regole di deontologia professionale». Ovvero «laboriosità, diligenza, impegno, equilibrio».

Ma anche «leale collaborazione con le Istituzioni dello Stato, moderazione nel linguaggio, sobrietà e riservatezza». Sono parole di temperanza in un discorso al veleno. È il nuovo anno giudiziario, ma sembra già vecchio.

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