da New York
La versione cinematografica del bellissimo romanzo di Khaled Hosseini, The kite runner (Il cacciatore di aquiloni) è al centro di un intrigo internazionale ancor più inverosimile della trama di quella tristissima storia ambientata in Afghanistan e che dal 2003 ha spinto milioni di lettori alle lacrime.
A pochi giorni dal rilascio della pellicola nelle sale americane, la casa di produzione Paramount Vantage ha fatto sapere che non può rischiare: per colpa del film i protagonisti, due ragazzini afghani che vivono a Kabul, rischiano la vita.
Nel romanzo di Hosseini si parla della profonda amicizia del giovane protagonista Amir, un ragazzino figlio di una ricca famiglia Pashtun nella Kabul che non era ancora stata occupata dalle armate sovietiche, col suo coetaneo Hassan, figlio invece di un servo appartenente al gruppo degli Hazara. Emigrato negli Stati Uniti e ormai adulto, Amir racconta la sua storia, che subisce una drammatica svolta il giorno in cui, paralizzato dalla paura di finire anche lui nelle grinfie di un perfido ragazzo Pashtun, assiste in silenzio alle violenze carnali subite da Hassan, che voleva inseguire il suo aquilone.
Ed è proprio quella scena di sodomia, girata senza il solito voyeurismo californiano (si vedono solamente una cintura strappata, poche gocce di sangue e le lacrime del ragazzino) che rischia di mettere in pericolo la vita dei due ragazzi e di riaccendere l'odio tra i Pashtun e gli Hazara .
Per salvare Ahmad Khan Mahmoodzada e Zekiria Ebrahimi, la Paramount ha posticipato l'uscita del film al 14 dicembre, ha ingaggiato un ex agente della Cia e sta cercando di far ottenere ai due attori un visto per l'Arabia Saudita. Laggiù la Paramount ha promesso di mantenerli fino alla maggiore età - al costo di 500mila dollari cadauno, una spesa in fondo modesta a confronto dei 18 milioni di budget della pellicola. Ma farli scappare da Kabul non è facile.
Il regista del film, Marc Forster, aveva deciso di dirigere la versione cinematografica del bestseller per poter dare una voce ed un volto «ad un popolo che era rimasto invisibile per oltre trent'anni».
Nel tentativo di dare autenticità alle immagini, Forster aveva deciso di girarlo in lingua dari e nel maggio del 2006 si era recato a cercare i suoi attori vicino a Kabul. Al suo ritorno aveva ammesso non solo di aver trovato i protagonisti, ma aveva anche sostenuto che l'Afghanistan stava diventando un Paese democratico. Non aveva fatto i conti coi talebani, che avevano distrutto quasi tutti i cinematografi del Paese, e con gli afghani, un popolo che a gennaio, dopo aver visto una copia di Kabul Express - in cui un personaggio insultava pubblicamente gli Hazara - era sceso in piazza domandandone la pena di morte.
Difatti il padre di Khan Mahmoodzada (che interpreta Hassan) ha dichiarato alla stampa di aver ricevuto minacce di morte da parte degli Hazara e ha accusato il regista di aver mentito: secondo lui Forster gli aveva rivelato solo dopo di aver fatto girare al figlio una scena di sodomia, promettendogli di tagliarla comunque in sala di montaggio.
Il regista invece sostiene di aver girato quella scena in Cina dopo averne parlato col padre: «Il ragazzino era scoppiato in lacrime perché non voleva farsi vedere nudo - ha detto Forster - così condensai la scena in tre immagini innocenti». Immagini che adesso rischiano d'incendiare ancora l'Afghanistan.
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