Cesare G. Romana
da Milano
Lavvio è già una dichiarazione dintenti, non sarà un happening consolatorio, questo nuovo concerto degli U2 transitato ieri, e in replica stasera, tra il cemento bollente di San Siro. «La notte è piena di buchi/ le pallottole squarciano il cielo/ dinchiostro e doro», canta infatti Bono, dal suo palco faraonico: e tutto il resto avverrà di conseguenza, in questo show che è anche un riepilogo dangosce epocali, la guerra la miseria la fame la droga, non certo uno scampolo dordinario entertainment.
UnApocalisse, semmai, come qualche cronista lha già definito, questo tour salpato a fine marzo dalla California e ora in scalo da noi, con onori trionfali. Adeguati daltronde al fasto della messinscena, ché per gli U2 grandezza e grandeur sono quasi sinonimi, non meno che allurgenza impietosa dei contenuti. Così eccoli, i quattro: neri, irlandesi e indomiti sul palco galattico, ad attanagliare la folla due chele - passerelle - striate di nero e di rosso, i colori-guida di How to dismantle an atomic bomb ma anche della bandiera anarchica, sarà un caso. E la pioggia di coriandoli infuocati, le luci roventi, i megaschermi che eruttano incubi e speranze, le cortine semoventi istoriate di simboli, gli effetti e talora effettacci duno spettacolo che ritrova la grezza impazienza del rock pur nel trionfo dellipertecnologia.
Allora, «dammi quel che voglio e nessuno si farà male», invoca Bono in Vertigo: dà voce a tutti i marginali e ai vinti del mondo, fa suo il sogno di Luther King e Mandela e la chitarra di The Edge accende interiezioni frementi, Mullen e Clayton ritmano inesorabili, la folla canta allunisono e così ha ragione Bono, «uno lamore, uno il sangue, una la vita/ la vita in reciprocità», dice il testo di One. Che è poi il senso di questo concerto solidale e ruggente, dove il dramma dellAfrica incombe dagli schermi (Where the streets have no name), e reitera la battaglia di Bono, avviata con Jovanotti in un lontano Sanremo, per la riduzione del debito ai paesi affamati. Dilaga lo spirito del recente Live 8, il suo afflato civile. Si parla di ragazzi difficili «curati» con lelettrochoc (The electric Co.) e di diritti disattesi (Running to stand still: sugli schermi la Dichiarazione dei Diritti dellUomo, era il 1948), davidità e di violenza intrecciate («Dicono che questa è letà delloro/ ed è per loro che scateniamo guerre») e appunto dei venti di guerra che tuttora flagellano il mondo. Come in Sunday bloody sunday, sul fondale rosseggia un cielo di sangue, Bono cinge una bandana sulla quale la parola Coexist affianca, con ardita sintesi grafica, la mezzaluna islamica, la stella ebraica e la croce cristiana.
Figlio dun cattolico e duna protestante, dunque uomo di fede non restio al dubbio - «più cose vedi e meno ne sai», afferma in City of blinding lights - Bono racconta dunque la «sua» religione, laicamente vissuta come paladina dei miseri e tramite di riscatto sociale. Si cita, in 40, il salmo davidico: «in questa grande assemblea ho proclamato la giustizia», annunciava il testo originario ed è da qui che Bono, moderno giullare di Dio, trae la sua sola vera certezza. La giustizia, appunto: così il profeta dun mondo disfatto serge a messaggero di speranza, nel suo modo eccitato ed estremo. E la scaletta ospita titoli beneauguranti: Elevation, New years day, Beautiful day, Love and peace of else. E perfino la privatissima commozione di Sometimes you cant make it on your own, omaggio al padre defunto, diventa invito alla solidarietà universale.
«Non dobbiamo diventare mostri per sconfiggere i mostri - grida Bono - facciamo, con la musica, la storia che dovrebbero fare Bush e Blair». E lenergia tumultuosa, le irruzioni a passo di carica nel cuore della folla, lasprezza dei suoni e dei ritmi, limpazienza febbrile del canto, il vitalismo invasato non sono soltanto un richiamo alla purezza originaria del rock, diventano spunto di condivisione per settantamila cuori in festa. Del rock richiamando la primigenia sintassi, la veemenza primordiale ma anche il lato solidaristico e a suo modo «politico»: nel senso alto del termine - politica come larte e la scienza del convivere dentro una polis -, e in questo caso la polis è il mondo, il rock è il suo esperanto.
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