L’EQUILIBRIO DELLA LIBERTÀ

Roma guarda a Londra con l’angoscia inespressa di chi vede, altrove, qualcosa che potrebbe anche toccarlo. Tutti guardiamo a Londra e cerchiamo di capire, nel groviglio di parziali notizie e di tensioni, come il timore possa fare scattare i grilletti delle pistole, come sia difficile in una città ferita a morte, ritrovare i ritmi del vivere libero e ordinato in una terra di antiche libertà. Roma è minacciata, investita da un flusso di messaggi violenti che nulla lasciano all’immaginazione e promettono sangue e lacrime. Messaggi credibili, provenienti da quei siti del terrore che abbiamo imparato a conoscere. Siamo tutti londinesi oggi, in questo luglio infernale.
Giuseppe Pisanu, che fa bene il suo mestiere di ministro dell’Interno, dice che «la minaccia di attentati in Italia è incombente tutti i giorni», come negli altri Paesi d’Europa.
La tensione è al massimo, il nostro cuore collettivo subisce gli insulti di una pressione alta, troppo alta. Eppure, nonostante il clima psicologico, nonostante i timori dell’ora, il governo ha dato prova di equilibrio e misura, varando un pacchetto antiterrorismo che non contiene alcun cedimento alla paura e che, sostanzialmente, non stravolge il sistema di libertà in cui viviamo. L’osservazione di quel che è accaduto a Madrid e a Londra, dopo la dichiarazione di guerra dell’11 settembre 2001 a New York, non ci ha portato a sognare uno Stato di polizia, né ci ha fatto anchilosare nel riflesso condizionato di chi spara sempre e comunque: il governo ha varato misure ponderate, non ha creato strappi vistosi nel tessuto delle nostre garanzie e libertà, non ci ha fatto precipitare in un passato e in una dimensione illiberali. L’equilibrio delle scelte governative è provato dai commenti dell’opposizione, che limita le sue critiche a punti marginali, non all’intonazione e ai contenuti qualificanti del decreto. Le parole del premier sulle scelte relative alla super-procura antiterrorismo fanno poi sperare in ulteriori, possibili intese, sempre che l’opposizione smetta il viso dell’arme. Se non si è bipartisan adesso, quando allora?
Equilibrio, ed efficacia. Hanno un senso le nuove norme su fermi, interrogatori, intercettazioni, soprattutto sulle espulsioni con procedura semplificata. È inutile, sciocca la polemica su Schengen: il nemico l’abbiamo già in casa e allora è più importante avere una norma che consenta di espellere, con una ragionevole rapidità, i predicatori d’odio, gli arruolatori, gli addestratori di kamikaze.
Un giro di vite, necessario per garantire ai cittadini italiani la sicurezza e la libertà di cui hanno sempre goduto.
Un’ultima notazione sulla promessa di permessi di soggiorno agli immigrati che collaboreranno e forniranno informazioni utili alla lotta al terrorismo. È giusto offrire a chi aiuta le istituzioni un premio che lo induca a radicarsi nella fedeltà alle stesse istituzioni. Non tutti gli immigrati subiscono il fascino mortifero della jihad. Bisogna dare un’opportunità a chiunque voglia diventare un leale cittadino italiano. E siamo in ritardo. Alla fine del secolo scorso, per difendersi dalle varie mafie (siciliana, polacca, irlandese, ebrea, montenegrina eccetera) a New York si crearono le squadre speciali di polizia composte da appartenenti alle varie etnie. Il tenente Petrosino combatté la mafia perché ne interpretava il linguaggio e i silenzi.

Forse avremmo dovuto già disporre di poliziotti e di agenti segreti di fede musulmana, ma cittadini italiani, di un Paese che respinge l’idea di «guerra di civiltà» e che però non è disposto a subirla quando altri la dichiarino e la pratichino.

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