L’esempio di Israele: anche l’opposizione ha il senso dello Stato

Contro Netanyahu lotta dura ma mai fango. Bersani, Fini e Casini avrebbero da imparare. Certi politici hanno perso i valori fondanti della convivenza

L’esempio di Israele:  
anche l’opposizione  
ha il senso dello Stato

Potrebbe mai accadere che Bersani, Di Pietro, Vendola o anche Fini e Casini, trovandosi in visita ufficiale all'estero, difendano la politica estera del governo Berlusconi? È semplicemente inconcepibile in questa nostra Italia dove manca del tutto il senso dello Stato e la cultura dell'interesse nazionale. Eppure guardandoci attorno scopriamo che, nell'ambito dei Paesi occidentali e democratici, siamo pressoché un'eccezione, purtroppo in negativo.

Ce lo testimonia anche Israele, l'unica democrazia sostanziale dell'insieme del Medio Oriente. L'11 ottobre il presidente della Knesset (Parlamento israeliano), Reuven Rivlin, esponente del Likud, il partito di destra capeggiato dall'attuale capo del governo Benjamin Netanyahu, è stato in visita nella sede del Parlamento Europeo a Bruxelles. Ho avuto modo, nella mia veste di vice-presidente vicario della Delegazione del Parlamento Europeo con lo Stato di Israele, di condividere la prima colazione con Nachman Shai, capo della Delegazione della Knesset per i rapporti con il Parlamento Europeo. Shai è un deputato del partito centrista Kadima, il principale rivale del Likud guidato da Tzipi Livni. E' un brillante politico con un passato da giornalista e portavoce dell'Esercito. Poliglotta e affabile, ha una straordinaria capacità comunicativa.

Nel suo intervento mattutino in un'aula riservata del ristorante del Parlamento, Shai ci ha detto chiaramente che come esponente dell'opposizione auspica la caduta del governo Netanyahu e la sua sostituzione con il suo partito. Ma nella sua veste di rappresentante della Knesset, dell'insieme del Parlamento israeliano, Shai ha difeso senza alcuna esitazione la politica del governo Netanyahu su tutti i fronti, dal conflitto con i palestinesi specie la guerra contro il terrorismo di Hamas, alla gestione dei rapporti con l'Egitto, la Giordania, la Turchia e l'Iran. Per circa un'ora Shai ha parlato in perfetto inglese facendo proprie la politica del governo d'Israele. Ha condannato l'iniziativa del presidente palestinese Abu Mazen di richiedere al Consiglio di Sicurezza dell'Onu la proclamazione unilaterale dello Stato della Palestina; ha denunciato l'atteggiamento oltranzista del premier turco Erdogan che ha cacciato l'ambasciatore israeliano e rotto tutti i rapporti con Israele per il rifiuto di Netanyahu di porgere delle scuse ufficiali per l'uccisione di 9 attivisti turchi pro-Hamas che il 31 maggio 2010 tentarono a bordo della nave Marmara di rompere il blocco navale per approdare a Gaza; ha condiviso la preoccupazione del suo governo per il deterioramento dei rapporti con l'Egitto dopo il violento assalto di migliaia di manifestanti all'ambasciata israeliana al Cairo lo scorso 10 settembre, occupandola, saccheggiandola e issando la bandiera egiziana al posto di quella con la stella di David, costringendo l'ambasciatore e i diplomatici alla fuga.

Se Shai fosse stato un esponente del Likud e persino il portavoce ufficiale del governo Netanyahu, non avrebbe probabilmente usato parole diverse per sostenere la politica ufficiale dello Stato. Pur sottolineando in alcuni passaggi che lui è all'opposizione, ha sempre prevalso un solido senso dello Stato, un indubbio spirito di unità nazionale quando si tratta di presentare al resto del mondo la realtà di Israele, facendoci toccare con mano l'assoluta preminenza dell'interesse supremo dello Stato sopra qualsiasi altra considerazione partitica o ideologica.

La difesa di Shai della politica di Netanyahu di fronte ad un'assise internazionale è ancor più singolare se si tiene conto che Israele è notoriamente una nazione più che vivace sul piano della dialettica politica, al punto che è diffuso il detto che se due israeliani s'incontrano danno vita a tre partiti. Shai a Bruxelles capeggiava una delegazione della Knesset di cui fanno parte esponenti di vari partiti e lui ha parlato con lo spirito dello statista che si eleva al di sopra delle rissosità e delle contingenze, focalizzando l'interesse esclusivamente sul bene comune degli israeliani.

Ebbene questo senso dello Stato in Italia manca del tutto! Ammettiamolo che la cultura politica prevalente è quello dello scontro frontale tra i partiti, dove la vittoria dell'uno deve tradursi inesorabilmente nell'annientamento dell'avversario e la conquista del potere corrisponde automaticamente all'azzeramento di tutto ciò che era stato precedentemente fatto. La nostra visuale è miope, partitica, faziosa, siamo eternamente in campagna elettorale. Non abbiamo il respiro lungo che ci consentirebbe di elaborare delle strategie finalizzate al conseguimento del bene dei nostri figli e dei nostri nipoti. Tutto deve potersi monetizzare al più presto possibile nella crescita dei voti per rovesciare chi sta al governo e poterlo rimpiazzare costi quel che costi, indipendentemente dal consenso popolare, indifferenti alle verifiche parlamentari e insensibili all'interesse supremo della nazione.

Questo nostro comportamento tradisce un male profondo e diffuso che evidenzia la perdita dei valori fondanti della civile convivenza, il disprezzo del buon senso, la rinuncia alla ragione e il venir meno del sano amor proprio. Assumerne la consapevolezza è già molto.

Conquistare il senso dello stato e acquisire la cultura dell'interesse supremo della nazione deve rappresentare il percorso formativo che ci veda tutti partecipi con lo spirito costruttivo di chi ha veramente a cuore il bene degli italiani.

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