L’europrotesta dipietrista? Una Waterloo

nostro inviato a Bruxelles

Napoleone-Di Pietro aveva probabilmente pensato a una passeggiata trionfale, visto anche il voto favorevole dei parlamentari europei al dibattito sulla libertà di stampa in Italia di mercoledì, ma ieri si è invece ritrovato a Waterloo, che del resto è a pochi chilometri dalla capitale belga. E questo non solo perché la commissaria ai media, l’ex-giornalista lussemburghese Viviane Reding, è stata molto secca nel rilevare che non le piacciono le strumentalizzazioni dell’Europarlamento per beghe interne, o perché il gruppo socialista ha preso nettamente le distanze dall’iniziativa finendo per reclamare una indagine sui media in tutta Europa, né perché erano meno di 50 su un totale di oltre 700 i presenti in apertura di seduta. Quanto perché, alla fine del dibattito, proprio la Reding ha tenuto a chiarire che se davvero c’è qualcuno che pensa che nella penisola la libertà di stampa sia a rischio, lo deve mettere in chiaro - nero su bianco - reclamando la violazione dell’articolo 7 dei trattati. Il che può portare un Paese all’espulsione dalla Ue, non è mai stato chiamato in causa per nessuno fino ad oggi e, fatalmente, concretizzerebbe quella «antitalianità» che l’ex-Pm ha sempre negato di voler esprimere.
Se non un boomerang vero e proprio, ci si è andati insomma molto vicini. Perché tra l’altro l’apertura di una indagine sulla concentrazione dei media in Europa non piace granché, specie a sinistra. Non al socialista tedesco Schulz, che si è offeso quando il Csu Weber ha rilevato che la maggior parte dei finanziamenti della Spd provengono proprio dalla stampa e dalla spartizione politica delle tv ex-Germania Est. Non agli spagnoli di Zapatero che hanno di questi tempi le loro grane con la maggior tv privata spagnola, fin qui amica, e che si ritrovano alle prese con le proteste dei popolari portoghesi in quanto proprio quel gruppo, a Lisbona, ha deciso la chiusura di un tg. Ma anche nell’est europeo sono in molti a storcere il naso: i socialisti estoni - come denunciato da un verde di Tallinn - si sono impadroniti della tv pubblica. Stessa cosa avverrebbe in Austria. Per non parlare di Ungheria, Romania e Bulgaria con i politici che, a quanto detto, minacciano giornali e giornalisti ben più che con le querele con le quali Berlusconi ha inteso difendersi dalle accuse infamanti di Repubblica e Unità.
Che l’assalto dipietrista fosse destinato al fallimento si era captato fin dall’avvio: scranni vuoti (se si eccettuavano gli italiani), chiacchiericcio di fondo in crescendo. «Una manovra politica di parte» scandiva l’alsaziano Daul, gran capo dei popolari. Subito dopo era il neo-capo dei socialisti e democratici italiani, David Sassoli, a correggere la mira: attacco a Berlusconi e all’Italia? Ma quando mai. «Il nostro è un grande Paese democratico. Quello che vogliamo sono norme comuni europee per i media». Tesi che del resto faceva propria anche il liberale belga Verhofstadt che, pure, accoglie i dipietristi sotto le sue bandiere. Insomma del dibattito sulla libertà di stampa in Italia non c’era più traccia. Forse anche perché il capogruppo del Pdl Mauro aveva fatto notare, non senza «bucare» l’uditorio, che guarda caso lo stesso tema era stato messo all’ordine del giorno nel 2004 (senza risultati apprezzabili) poi era del tutto sparito dal 2006 al 2008 come non fosse mai esistito con Prodi a palazzo Chigi, salvo poi ricomparire con la nuova vittoria berlusconiana.
A tener duro nella critica, a quel punto, solo la baronessa Ludford, liberale britannica nota per il suo fiero anti-berlusconismo, più un paio di dipietristi che, annusata l’antifona, hanno solo cercato lo show con parole di fuoco che hanno sollevato l’ira del centrodestra, ma anche qualche storcer di naso a sinistra.
A questo punto bisognerà attendere che si definiscano gli ordini del giorno che andranno ai voti fra una decina di giorni a Strasburgo.

Scontato che l’Italia esca dal mirino, occorre capire se in effetti si chiederà alla commissione un intervento sui media europei o - cosa più probabile - l’avvio di una indagine conoscitiva. «Col rischio che alla fine del giro, a pagare sia chiamato Murdoch!», ridevano a crepapelle alcuni eurodeputati britannici e olandesi.

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