L’Iran continua la corsa verso l’atomica

Gli Stati Uniti stanno valutando un piano di sanzioni al di fuori delle Nazioni Unite

Alberto Pasolini Zanelli

da Washington

Un’inaugurazione, un test, un discorso, un gradino in più all’insù nell’escalation. Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha tagliato il nastro, nel centro ricerche di Khondab, presso Arak, duecento chilometri a sud-ovest di Teheran, di un impianto di produzione di acqua pesante. Era questo dunque il «balzo in avanti» preannunciato giorni fa da un portavoce del governo iraniano come completamento, se non della costruzione almeno della «incrollabilità di diritto» dei programmi nucleari del Paese.
L’acqua pesante che uscirà dall’impianto metterà l’Iran in grado di produrre plutonio arricchito, quello che, volendo, si può utilizzare anche per costruire delle testate atomiche. Ahmadinejad ha parlato in uno scenario da tensione prebellica: in una base protetta da filo spinato alto quattro metri e da dozzine di cannoni antiaerei. Le sue parole, però, sono state in parte un po’ meno belligeranti di altre volte. Il presidente iraniano ha ribadito che lo scopo del suo Paese è di acquisire tecnologia di altissimo grado a fini eminentemente pacifici, non soltanto per la produzione di elettricità, ma anche, ad esempio, per gli usi medici dell’acqua pesante. E si è spinto fino a dire che «l’Iran non è una minaccia per nessuno, neppure per il regime sionista», cioè Israele, cui Ahmadinejad di recente aveva augurato di «sparire dalla carta geografica».
A bilanciare però questo suo ammorbidimento verbale è venuto contemporaneamente l’annuncio, con trombe e tamburi, del felice collaudo di un nuovo modello di missile terra-mare. Nel lancio sono culminate importanti manovre militari denominate «Fendente di Zolfaghar», il nome della leggendaria spada a due punte che cingeva Alì, il primo degli imam sciiti, la cui uccisione in battaglia determinò lo scisma in campo islamico che perdura dopo oltre un millennio. Il missile ha «centrato il bersaglio».
Ma il segnale che conta è, particolarmente in questo momento, l’inaugurazione di un nuovo procedimento nucleare a quattro giorni appena dalla scadenza dell’«ultimatum» del Consiglio di Sicurezza dell’Onu all’Iran. Che ha risposto con un lungo documento che, come ha riconosciuto la stessa Casa Bianca, contiene delle interessanti novità, ma che resta inaccettabile per gli americani e per i loro alleati in quanto rifiuta la precondizione di sospendere gli esperimenti per poter trattare. E la rovescia anzi: trattiamo e poi, forse, potremmo sospendere gli esperimenti. Questo perché, lo ha ribadito Ahmadinejad, «il principio del diritto di accesso dell’Iran alla tecnologia nucleare non può essere messo in discussione e il popolo iraniano lo difenderà con forza». I negoziati potranno venire dopo, ma partendo da questo fatto compiuto e dovrebbero vedere l’Iran sedersi al tavolo non di fronte alle potenze nucleari, ma come una di loro, quale che sia lo stadio di sviluppo, industriale o militare.
La palla, del resto, è già tornata nel campo dell’Onu e molto difficilmente si delineeranno soluzioni di compromesso da qui al 31 agosto. A quella data si presenterà dunque il problema delle sanzioni, che gli Stati Uniti hanno già messo in conto e vorrebbero imporre, ma che non è detto che abbia il consenso del Palazzo di Vetro. Nel Consiglio di Sicurezza siedono infatti con diritto di veto, non soltanto la Gran Bretagna e la Francia, allineate con Washington, bensì anche la Cina e la Russia, che hanno detto e ripetuto di volere invece prolungare i negoziati e di essere contrarie a sanzioni. L’America sta esaminando, a questo punto, un ventaglio di iniziative, che vanno dall’accedere, per la prima volta in più di 25 anni, a contatti diretti bilaterali con l’Iran, alla elaborazione di un programma di sanzioni al di fuori dell’Onu.

Una riproduzione della «coalizione di volonterosi» (la formula inaugurata con la guerra all’Irak) disposti, per esempio, a congelare i beni iraniani all’estero e a porre barriere agli scambi commerciali, compresi le importazioni di petrolio.

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