
Lamberto Garzia merita di entrare di diritto tra i più autentici poeti dei nostri giorni: coltissimo, inventore del premio per inediti Ossi di seppia, Garzia è anche il meno libresco degli uomini, nomade, nuotatore, trasgressivo, ispirato, aperto al mondo come pochi. Il suo Autoritratto con rosa gialla (Interno Libri Edizioni, pagg. 231, euro 18) raccoglie poesie dell'ultimo trentennio a partire da quella Chanson di Cavaliere che me lo rivelò tanti anni fa.
Il libro si apre con un poemetto epico per frammenti in cui lui, cavaliere con il senso dell'onore e del nulla, si trova a duellare con uno sfidante che non è più il drago dell'infanzia, ma una entità indefinibile come una malattia dell'essere, in un duello che ha come padrini la sabbia e il vento. La vena epica e metafisica continua nei versi successivi dove la sua anima fantasma abita un villaggio californiano preso dalla febbre dell'oro. Una fortissima intensità lirica è invece la qualità rara e mirabile dei versi di Invocazione corale antica e di Antiche invocazioni d'amore. Il tono salmodiante è tra quello verticale, austero del teatro greco e quello orizzontale e carnale dell'ultimo Whitman. Qualcosa di cosmico percorre questi frammenti, che un abilissimo gioco di rimandi inanella in maniera elicoidale, dove si inseguono atomi d'oro, di purezza, di vita, di luce, di colore, dell'origine, dell'essenza, dell'eterno segreto: atomi che dalla materia portano all'energia immateriale primaria, quella dell'amore.
Garzia, al contrario di tanti poeti contemporanei, sa affrontare temi d'amore con uno sguardo arioso e drammatico, mitico e tesissimo sull'eros, come in questi versi esemplari: «vieni, vieni a me: alla mia carne,/ come le ragazze pesce andavano al loro dio/ aprendo la bocca e cantando». Ma questo poeta che impregna una suite amorosa del mito antico e conturbante di Leda e del cigno, è anche un poeta che sa la vita degli affetti familiari, uno che rivendica la scelta della povertà e della decenza dell'anima. I versi sull'estrema vecchiaia della nonna materna sono di una delicatezza commovente, ma il massimo di una commozione dura, pudica, si raggiunge nei versi dedicati alla canottiera ormai allentata del padre, i cui scarponi hanno «sulle stringhe indurito cemento». Compaiono nel libro immagini non ovvie della Liguria, fatta di boschi tra «rose selvatiche e bufere di vino», squarciata dal sole, flagellata dal vento sul bagnasciuga, e si intravedono i massicci della Maiella e del Gran Sasso dell'Abruzzo materno.
Ma Garzia dilata all'improvviso la sua geografia quando prende la strada dell'Oriente e scrive Shiai Ai, Combattimento e Amore, ancora un duello rituale, scandito sulle regole delle arti marziali, tra una donna d'oriente e un uomo d'occidente, in un inedito, nuovissimo linguaggio ibrido, tra un italiano quasi referenziale e la continua, ossessiva inserzione di termini giapponesi, con riferimenti anche al
mito fondatore della dea Amaterasu (nel dipinto in foto). Per tutto questo Lamberto Garzia, oggi tradotto e ammirato in Cina da un grande poeta come Cao Shui, è un autore che i lettori italiani di poesia gioiranno a leggere.
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