Spettacolare questa mostra che Fondazione Prada ha appena aperto a Milano. Come altro definire la ricostruzione in scala uno a uno del monumentale Colosso di Costantino, undici metri di statua, un'operazione sperimentale e mai osata prima, super instagrammabile eppure ineccepibile nella cura archeologica e filologica? «Recycling Beauty», a cura di Salvatore Settis con Anna Anguissola e Denise La Monica (fino al 27 febbraio), riunisce negli spazi milanesi della fondazione una sessantina di opere dal Medioevo al Barocco realizzate attraverso il riuso di antichità greche e romane, con pezzi provenienti dal Louvre, dai Capitolini, dai Vaticani, dalla Galleria Borghese, dagli Uffizi, dall'Archeologico di Napoli, dalla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen, dal Kunsthistorisches di Vienna. Sono esposti negli ampi e luminosi spazi del Podium di Fondazione Prada capolavori assoluti come Leone che azzanna un cavallo, gruppo ellenistico di struggente bellezza collocato nel Medioevo sul Campidoglio come allegoria del buon governo, la Stele del Palestrita, con un atleta e un efebo di fattura classica greca a lungo tagliata in due e ricomposta solo a metà degli anni '50 del Novecento, il bronzo Camillus del primo secolo dopo Cristo. E poi ancora il Trono di Virgilio, del secondo secolo, recuperato da una seduta dedicata a Dioniso di cento anni precedente, la Testa Carafa di Donatello, realizzata nel Quattrocento dal maestro per l'arco di Castelnuovo a Napoli e fino a due decenni fa ritenuta di età greco-romana, per non parlare della Tazza Farnese, manufatto ellenistico straordinario per materiale, tecnica e dimensioni, il più grande cammeo in pietra dura dell'antichità, sopravvissuto fino a noi quasi per caso, passando di corte in corte, da quella di Federico II a quella di Lorenzo il Magnifico (viaggia ancora, a dire il vero: a febbraio si sposterà alle Gallerie d'Italia di piazza Scala, capolavoro tra i vari esposti nella mostra dedicata alle famiglie dei collezionisti che hanno fatto la storia, dai Medici ai Rothschild).
Tuttavia, la straordinarietà della mostra non sta solo nei prestiti, ma anche nel punto di vista proposto. Merito anche del lavoro dell'artistar olandese Rem Koolhaas che da Prada gioca in casa avendo progettato la torre dorata divenuta simbolo della sede e firmato la mostra del debutto dell'istituzione, nel 2015, con «Serial Classic», anche questa di arte antica, anche questa curata da Settis. E se allora aveva eliminato (tra le perplessità di molti) i piedistalli delle opere, adesso presenta nel Podium una sorta di laboratorio, con pezzi d'arte posti vicino o sopra scrivanie dotate di sedie per il pubblico, per poter meglio osservare e comprendere. Ogni opera ha una sua complessa vicenda e finalmente le didascalie sono all'altezza della situazione: «Questa mostra richiede tempo e attenzione: è lenta», ha detto Koolhaas. Forse, l'effetto-wow è solo la tesi di superficie. Recycling Beauty», al netto dello sforzo - muscolare nella ricostruzione del Colosso, ed economico nei tanti prestiti ottenuti - è un progetto originale perché obbliga il visitatore a trattare l'arte antica come qualcosa di contemporaneo. Terreno scivoloso, a partire dal titolo. Il riciclo oggi è un imperativo categorico: non c'è campo, dalla moda all'industria meccanica, che non lo sbandieri come valore. Eppure, Salvatore Settis, senza cavalcare questa facile onda, esplora le fondamenta storico-artistiche della pratica del riuso. Vediamo in mostra pezzi di volta in volta riciclati o parzialmente distrutti per dare vita a qualcosa d'altro, acquistando così un nuovo senso, un nuovo valore, una nuova funzione: capiamo come vecchi frammenti travalicano il tempo e lo spazio, contenendo stratificazioni. Durante l'inaugurazione, il curatore ha citato Walter Benjamin: «Non esiste documento di civiltà che non sia al tempo stesso documento di barbarie». Davvero: a studiarli oggi, certi interventi sfiorano persino il grottesco, come nel caso del sepolcro medievale del beato Guido ottenuto dal reimpiego di un sarcofago dionisiaco del II secolo a.C. o di un'urna etrusca, incentrata sul mito delle Olimpiadi, che è parsa perfetta per custodire le reliquie di San Felice a Pistoia, per non dire del cratere dionisiaco dell'ateniese Salpion riutilizzato come fonte battesimale per la Cattedrale di Gaeta e della seduta da latrina di età romana imperiale sfruttata per le incoronazioni papali (era rossa, pareva di porfido).
Altre volte, invece, il riciclo è appropriazione consapevole, come nel caso del Trono di Virgilio di Mantova, già trono di Dioniso in Asia Minore, o del Leone che azzanna un cavallo dei Capitolini che un tempo omaggiava l'abilità nella caccia di Alessandro Magno e dopo divenne simbolo della maestà di Roma. Il riuso è anche felice riscoperta del passato e in mostra non mancano casi di collezionismo d'eccezione, come quello delle statue barocche del Moro Borghese e della Zingarella, tanto amate dal Cardinal Scipione, ricomposte nel Seicento a Roma dal francese Nicolas Cordier mescolando resti antichi alla sua creazione.
Questa alla Fondazione Prada è una mostra sull'inconfutabile fascino del frammento che negli spazi della Cisterna trova la sua apoteosi: la raccontiamo pur sapendo di rovinare la sorpresa di un progetto espositivo che è grande non solo perché presenta due giganteschi resti (una mano e un piede) del colosso di Costantino che di solito si possono ammirare nel cortile del Palazzo dei Conservatori a Roma.
Per la prima volta, sotto la guida del sovrintendente capitolino Claudio Parisi Presicce e con la perizia del laboratorio madrileno di Adam Lowe, si è tentato l'impensabile, ossia la ricostruzione fedele, con calchi dei frammenti integrati all'occorrenza, della monumentale scultura. In questo geniale corto circuito fra archeologia e stupore, «Recycling Beauty» offre un punto di vista interessante per decifrare molte pratiche, quali il riuso, la serialità, il riciclo, di questo nostro presente.
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