Intanto l'abbiamo cantata tutti, magari solo un verso, magari per scherzo oppure di nascosto, o magari per riflesso condizionato perché quella melodia e quelle parole sono entrate nel sentire comune di un paio di generazioni. «Lasciatemi cantare perché ne sono fiero, lasciatemi cantare sono un italiano vero». L'italiano di Toto Cutugno compie quarant'anni, fu cantata per la prima volta in gara al Festival di Sanremo e da lì ha seguito il tipico circuito di tanti brani super popular magari snobbati all'inizio ma poi adottati a furor di popolo. A Sanremo, in un Festival azzoppato e obbligato quasi per intero al playback (solo Cutugno, Fiordaliso, Morandi, Amii Stewart e Gianni Nazzaro ci rinunciarono) arrivò quinta per il pubblico e seconda per il Premio della Critica ma è tuttora uno dei brani popolari italiani più conosciuti, tradotti e cantati nel mondo. Perché? Intanto perché ha una melodia vincente e poi perché aderisce (aderiva) al cliché dell'italiano visto dallo straniero, all'idea che si era fatto sin dai film di Germi e di De Sica, degli «italiani brava gente» (come nella storia diretta dal regista De Santis) che amano «gli spaghetti al dente» che davvero per decenni sono stati quelli del «caffè ristretto, le calze nuove nel primo cassetto, con la bandiera in tintoria e una 600 giù di carrozzeria».
Toto Cutugno, che ha appena compiuto 80 anni, aveva avuto la prima intuizione dell'Italiano mentre era in tour all'estero, in Canada, proprio incontrando quegli «italiani veri» che non avevano bisogno di presentarsi perché si presentavano da soli. «Buongiorno Italia che non si spaventa, con la crema da barba alla menta, con un vestito gessato sul blu e la moviola la domenica in tv». Avendo collaborato spesso con Adriano Celentano, l'idea era di confezionare il brano su misura per lui e, a quanto pare, la parola Adriano era anche in una delle prime versioni del testo scritto dal bravo Cristiano Minellono. «Andiamo da Celentano, che stava facendo Il bisbetico domato con la Muti» ha raccontato Cutugno da Fazio qualche anno fa. «Lui ha sentito la canzone e poi ha detto queste semplici parole: Io questa canzone non la farò mai, non ho bisogno di dire che sono un italiano vero. Perché la gente lo sa che sono così». Fine.
Il brano è stato proposto ad altri, persino all'imitatore Gigi Sabani in chiave parodistica, ma niente. Allora Cutugno l'ha cantata al Festival e gli è decisamente andata meglio così visto che il brano ha venduto oltre cento milioni di copie, è stato tradotto in tante lingue compreso l'indiano, il finlandese e il cinese. Naturalmente in Italia il brano fu accolto con quella sorta di snobismo autolesionista che, specialmente in quegli anni, era addirittura feroce. Nell'epoca dei cantautori «impegnati», per piacere alla gente che piace(va) bisognava mostrare un riflesso ideologico anche piccolo così, anche nascosto, anche solo immaginato. Perciò un brano sulla passione per «gli spaghetti al dente» di un popolo «con l'autoradio sempre nella mano destra e un canarino sopra la finestra» era fatto apposta per essere snobbato. Neppure «un partigiano come presidente» (ossia Pertini al massimo della popolarità dopo l'esultanza al Santiago Bernabeu per gli azzurri del Mundial) o il chiarissimo «con troppa America sui manifesti» del testo levarono al brano l'«insopportabile tanfo» piccolo borghese. Roba oggi praticamente incomprensibile, ma allora molto, troppo presente anche nelle valutazioni della critica. Non a caso L'italiano risulta solo il diciottesimo tra i 45 giri più venduti dell'anno (già c'erano ancora i piccoli dischi di vinile che oggi la Generazione Z manco sa cosa siano) e, tutto sommato, il pubblico più giovane, perso tra new romantics, dark e heavy metal, sostanzialmente non adottò questo brano. Tra l'altro, oltre all'immortale Vacanze romane dei Matia Bazar arrivata quarta, in quella edizione di Sanremo c'era pure Vita spericolata di Vasco Rossi che non c'era paragone quanto ad appeal sui ventenni.
Però lentamente L'italiano diventa un prodotto da esportazione e il successo di Toto Cutugno in Russia e nell'Est europeo è un propellente mica male. Insomma, non ci sono soltanto gli italiani all'estero, che impazziscono per quel brano, ci sono anche gli stranieri che cantano L'italiano, magari tradotto, magari storpiato. Qui da noi il successo si calcola più che altro nell'utilizzo diffuso, anche giornalistico, di tanti versi della canzone e nella tenerezza verso quelle parole e quella melodia che basta una nota per riconoscerla.
E adesso? A quarant'anni dalla pubblicazione, di sicuro L'italiano ha avuto meno riconoscimenti di quanto meritasse (anche da Sanremo, a parte Fazio nel 2013 e il coraggioso Francesco Gabbani nel 2020).
Ma resta uno dei brani più popolari della nostra musica leggera, la fotografia di un popolo che al cinema poteva essere raccontato così ma nella musica no, nonostante all'estero tanti praticamente lo considerino il nostro inno.
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