Con l'ascolto e la parola in difesa della mente

Morto il grande psichiatra che tentò di rivoluzionare le cure trattando i pazienti da soggetti e non da oggetti

Con l'ascolto e la parola in difesa della mente

Ieri è morto lo psichiatra Eugenio Borgna. Un passo avanti nella storia della psichiatria è avvenuto quando, anche grazie a lui, gli italiani si sono accorti che i matti non sono tutti uguali. Ogni matto è matto a modo suo, e forse anche ogni cosiddetto sano lo è. Considerato poi che la medicina non è una scienza esatta (come recentemente dimostrato nell'epidemiologia), figurarsi la psichiatria. Sono loro, gli psichiatri stessi, ad ammettere che spesso non capiscono che cosa avvenga nei meandri dei nostri cervelli, e che la cura, quella della parola e quella farmacologica, vale per l'uno e non vale per l'altro.

Ma torniamo a Borgna. Se n'è andato nella sua città natale, Borgomanero, in provincia di Novara, di vecchiaia, essendo nato nel 1930. Aveva riempito la vita di attività sul campo (era stato direttore dell'ospedale psichiatrico di Novara), di studio e di divulgazione, producendo decine di libri con l'intento di spiegare il concetto di malattia mentale a un pubblico vasto. Il che è tutt'altro che facile, se si considera lo stigma che ancora avvolge chi per disgrazia soffre di disturbi psichici, più o meno gravi. Senonché, chi un tempo era confinato nei manicomi, senza distinzione fra depressi, bipolari, schizofrenici e persone con ritardi mentali, anche grazie a ricercatori come Borgna ha oggi qualche possibilità in più di non vivere in un perenne inferno.

Il principio a cui lo studioso si attenne, fin dagli anni Sessanta, è che il paziente non è un oggetto, ma un soggetto, e che come tale vive una «interiorità», vale a dire l'intrico di emozioni, gioie e dolori, sofferenze e godimenti che derivano dallo stare al mondo come esseri umani, mentre ci arrabattiamo per tirare avanti adattandoci alla meglio alla realtà. Qualcuno la definisce «mente», altri perfino «anima», lui parlava di «intelligenza del cuore».

La «psichiatria fenomenologica», com'era chiamata la corrente di pensiero cui Borgna faceva riferimento, riguarda il rapporto fra il disagio psichico e psichiatrico e il dolore esistenziale. In altre parole e cercando di semplificare al massimo: possiamo diventare pazzi anche solo se non ci facciamo una ragione dello stare al mondo. Borgna ha sempre scelto, sia per capire sia per spiegare, un approccio interdisciplinare con la materia, attraversando la letteratura, l'arte e le diverse manifestazioni della creatività umana, spesso innescata proprio dalla malinconia che più o meno ci pervade tutti in quanto esseri pensanti e soprattutto senzienti.

Magari fosse solo una questione di collegamenti fra neuroni, di chimica e di elettromagnetica. A qualche esperto piace pensarlo, con un approccio naturalistico (e a questo punto deterministico) verso il malfunzionamento della psiche. Hai le allucinazioni? Te le tolgo con un principio attivo. Trovi talmente poco senso nella vita che non riesci ad alzarti dal letto per un mese? Ti riempio di antidepressivi. Non basta? Ti scuoto con l'elettroshock.

Borgna nutriva diffidenza verso un approccio puramente farmacologico e meccanico (e si dice puramente, perché è assodato che i farmaci di nuova generazione possono fare molto per normalizzare la vita di un paziente). Insieme a Franco Basaglia e alla sua scuola, fu per un'umanizzazione del trattamento che ridesse dignità al malato. Era anche nel comitato scientifico di un «Festival della dignità umana» che si tiene a Borgomanero. Ora, la dignità umana non dovrebbe avere bisogno di festival per essere riconosciuta e celebrata, ma parlarne in relazione alla deriva della mente è pur sempre un'ottima idea. La dignità è una delle prime cose che un essere umano abbandona quando perde il contatto con la realtà. Quasi tutti i disperati che vediamo sdraiati all'addiaccio intorno alle nostre scintillanti stazioni ferroviarie sono afflitti da qualche psicosi.

Purtroppo, e questo Borgna lo sapeva bene, averli liberati dalle costrizioni manicomiali non ha risolto il problema, che è semplicemente passato alle famiglie (per chi ne ha una). Tolte alcune benemerite onlus, per esempio il Club Itaca, nata a Milano per iniziativa di Ughetta Radice Fossati e ormai diffusa in decine di sedi in giro per l'Italia, e ad alcune altre basate quasi esclusivamente sul volontariato, restano il vuoto legislativo e assistenziale.

Dell'opera divulgativa sterminata di Borgna, pubblicata molto da Feltrinelli e poi da editori come Cortina e Interlinea, restano titoli folgoranti: Come se finisse il mondo. Il senso dell'esperienza schizofrenica, e La solitudine dell'anima. Notevole la sua autobiografia, Il fiume della vita.

In una commovente intervista rilasciata alla nostra Eleonora Barbieri ai tempi del Covid, lo psichiatra disse: «Quando l'angoscia è dentro di noi, le cose che potremmo considerare entro i loro confini vengono vissute agli estremi, in

particolare la morte». E ancora: «La fragilità che vive in noi è conoscenza di sé e coscienza dei propri limiti». Questo dovrebbe valere anche per chi i matti li cura.

Ieri è morto un grande psichiatra, non è morta la psichiatria.

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