Lazio choc: microspie nell’ufficio della Polverini

RomaQualcuno spiava Renata Polverini. Una «cimice» è stata ritrovata domenica celata in una presa di corrente nella stanza della presidente della Regione Lazio nel corso di una bonifica iniziata nei giorni scorsi ad opera di un’agenzia esterna. I tecnici incaricati hanno scovato negli uffici di via Cristoforo Colombo tre microspie e una microtelecamera delle dimensioni di un pacchetto di fiammiferi. E la ricerca non è ancora terminata.
Polverini nelle settimane scorse aveva subito due tentativi di intrusione nella sua abitazione al quartiere San Saba ed è proprio in seguito a quegli episodi che ha disposto una bonifica degli uffici regionali. Blitz allora classificati come opera di ladri, ma che ora assumono un significato assai più sinistro. Il 28 febbraio un condòmino aveva visto due persone arrampicate sul balcone di casa Polverini che cercavano di forzare una finestra ed era riuscito a metterle in fuga. Qualche giorno dopo, l’11 marzo, la governatrice aveva trovato un’inferriata piegata, l’allarme disattivato e la casa messa a soqquadro ma nessun oggetto rubato. Dopo quegli episodi il questore di Roma Francesco Tagliente, su proposta del prefetto Giuseppe Pecoraro, ha disposto una vigilanza fissa sotto casa della presidente della Pisana 24 ore su 24.
Polverini mostra ai cronisti una cimice, si fa fotografare tenendola in mano con sguardo tra lo sconcertato e l’inorridito, si dice «amareggiata», ma non ha la minima idea di chi possa aver interesse a spiarla. «Forse la malavita, la criminalità organizzata, i servizi segreti. O magari aziende che in qualche modo stavamo penalizzando nella nostra azione politica. In questo Paese chi si pone con capacità in un’azione di governo volta al cambiamento viene sempre preso di punta». Di certo quella strumentazione da 007 era stata messa lì per lei, perché le apparecchiature erano attive e perfettamente funzionanti. La prima presidente donna del Lazio ora che il giallo è entrato nel vivo rivede le prime sequenze del film con un occhio diverso. «Da quando mi sono insediata ho avuto subito l’idea che qualcuno potesse avere la possibilità di informarsi su ciò che stavamo facendo, in particolare sui decreti della sanità. Li firmavo anche a notte fonda, ma la mattina dopo erano già a conoscenza di altri». E pazienza quando finivano sui giornali, «pensavo ci fosse qualcuno che li passava». Ma a volte c’erano i bene informati «anche quando non apparivano sui giornali».
Polverini rivela poi altri particolari inquietanti che fanno apparire la seconda regione per importanza dopo la Lombardia come un vero colabrodo. «C’erano sempre persone nuove che si aggiravano nell’edificio, anche a mensa». Presumibilmente non affamati solo di cibo. «In febbraio abbiamo avviato un’iniziativa perché ci siamo accorti che c’erano tantissime persone con il badge per l’ingresso. Abbiamo trovato ben 600 badge anonimi. Abbiamo inoltre fatto verifiche sugli accessi a intranet della regione, perché noi siamo una pubblica amministrazione e i nostri atti vanno in rete. Abbiamo trovato 1.200 password in più. Io non sono un’esperta, ma ci siamo resi contro che l’accesso alla rete interna era molto rallentata».


Sulla vicenda la Procura di Roma ha aperto un fascicolo: installazione abusiva di apparecchiature idonee a intercettare e interferenza illecita sono i reati ipotizzati dal pool dei reati informatici di piazzale Clodio, coordinati dal procuratore aggiunto Nello Rossi. Personale specializzato ha ieri prelevato le cimici per analizzarle. Le prime informazioni riguarderanno chi le abbia prodotte e installate.

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