Due sorelle, i ricordi, la Basilicata: il romanzo di formazione di Isa Grassano

Isa Grassano si racconta, tra ricordi d'infanzia e ambizioni da scrittrice, in occasione dell'uscita del suo nuovo romanzo, Come un fiore sul quaderno

Due sorelle, i ricordi, la Basilicata: il romanzo di formazione di Isa Grassano

Edito da Giraldi Editore è in arrivato in libreria Come un fiore sul quaderno, la nuova fatica della scrittrice e giornalista Isa Grassano. Romanzo di formazione dai risvolti comici, il libro è in realtà la storia tra due sorelle, che avrà però delle svolte inaspettate. In occasione dell'uscita del libro abbiamo incontrato l'autrice, che ci ha parlato della realizzazione del libro, dei temi affrontati e degli elementi che condivide con le sue protagoniste.

Come è nato Come un fiore sul quaderno? E da dove viene la scelta del titolo?

Un giorno ho raccontato ad Anna di Cagno, giornalista, scrittrice, cara amica e che ha curato la delicata postfazione, di un'esperienza vissuta da bambina ed è stata lei ad insistere perché la trasferissi su carta, per quanto fosse originale e per certi versi assurda. La scelta del titolo è racchiusa nel finale, e leggendo si capirà, ma si riferisce anche alla copertina, realizzata con i ritagli dei quaderni della mia quinta elementare. Un fiore appunto creato dall'artista Alessandra Montanari. Se si fa attenzione, si riesce a leggere anche il testo, come "Mi chiamo Grassano Isabella, ho gli occhi castani e i capelli biondi..." o si legge la data gennaio 1982. I miei dieci anni, i dieci anni di Speranza, la protagonista.

Scrivi che nel tuo romanzo ci sono anche cenni autobiografici. Come hai lavorato, allora, nell'amalgamare il reale con la finzione? E il tuo lavoro da giornalista ti ha aiutato in questo senso?

Molti degli episodi raccontati, anche se in maniera romanzata, sono reali. Mi vengono in mente le ore in cui abbiamo aspettato sotto il sole, in un campo sportivo, l'arrivo dell'Onorevole Emilio Colombo, Padre costituente dell’Italia repubblicana, uno dei pilastri della vecchia Democrazia Cristiana, che avrebbe risolto i problemi del Sud. O ancora i pomeriggi in cui mia madre mi portava in chiesa e io mi annoiavo, o la volta in cui al mare abbiamo rischiato di annegare. Persino il disordine di Speranza mi appartiene e anche il fatto di non riuscire mai a ricordare dove avevo messo la statuina di Gesù Bambino per posizionarla il 24 nel Presepe e la mettevo sempre nei giorni successivi. Un vero disastro. A questi episodi ne ho aggiunti altri ovviamente costruiti, fittizi, ma proprio grazie al lavoro di giornalista che racconta e per certi versi amplifica, non si capisce dove finisce la realtà e inizia la finzione. Il ristorante sul mare della Riviera Romagnola che ha la protagonista, l'avrei voluto pure io.

C'è un tema, nel tuo romanzo, che mi ha molto colpito: quello della competizione. Senza voler fare spoiler, a un certo punto la protagonista si trova ad affrontare le sue spinte competitive. Essere brava non per sé stessa, ma per superare ''qualcuno''. Che rapporto hai con la competitività? Ti ha aiutata in qualche modo ad arrivare dove sei e a scrivere questo libro?

Sono cresciuta nella competizione, ma di quelle belle che danno stimoli sempre nuovi. Prima con Rosa, questa mitologica e misteriosa sorella (se lei leggeva due libri in una settimana, io cercavo di leggerne tre e oggi ho una lettura velocissima), poi con una mia cugina omonima, di solo qualche mese più grande di me. Ricordo che ogni volta che rientravo a scuola con un voto alto, la domanda era: "e l'altra Isa"? Quindi ho sempre cercato di fare meglio. Oggi, continuo a sentirmi in competizione con le persone da cui ho tanto da imparare. Per me è arricchimento, crescita, mai in negativo. E credo mi abbia portato a essere quella che sono, con la mia voglia di esplorare sempre mondi nuovi per migliorarmi in ogni ambito. Non sono invidiosa, non lo sono mai stata. Ognuno è unica, unico a suo modo.

Nel tuo libro emerge un forte senso di nostalgia. Penso al passaggio in cui parli del salto con la corda, i gessetti colorati o «nomi cose e città». Che rapporto hai con il passato? È qualcosa che dobbiamo lasciarci alle spalle per poter andare avanti o, al contrario, qualcosa da preservare?

Il passato serve a farci stare con i piedi per terra e per questo me lo porto sempre appresso. Non dimentico le mie origini, non dimentico da dove sono partita, gli anni in cui ho giocato in maniera spensierata per le strade, nei cortili. Credo che preservando questo si affronti meglio il futuro. E poi tutti abbiamo un po' di nostalgia di quegli anni Ottanta che ci sembrano i migliori di sempre. Anche chi non li ha vissuti volge uno sguardo compiaciuto a quel periodo. Nel libro ci sono tanti richiami a cose che adesso non ci sono più: dalle penne profumate, alle carte da lettera particolari e colorate, dal telefono grigio a ruota alle gommine che ricordavano biscotti e brioche. E poi le griffe tanto in voga all'epoca e che io non potevo permettermi, essendo cresciuta in una famiglia dalle ristrettezze economiche.

Come un fiore sul quaderno

A un certo punto, nel romanzo, citi la formula «nomina sunt omina», sottolineando quasi la predestinazione che si nasconde nella scelta di un nome. Che ruolo ha il destino nel tuo curriculum?

Sono cresciuta nel cuore del sud, spesso "faticoso", quindi mi porto dietro un senso di rivincita. Sicuramente questo mi ha aiutata. Forse se nella vita avessi già avuto tutto, non avrei trovato la forza di cercare la mia strada.

Nel libro c'è un messaggio molto bello, che ho sottolineato: "E se credi a qualcosa sei già a metà strada". Secondo te, però, nella società attuale, dove conta la produttività a ogni costo, la narrativa del "se ci credi, puoi farlo" non rischia di diventare negativa per chi non riesce a stare al passo? È ancora possibile, oggi, avere fiducia e ottimismo nel futuro?

Non può, a mio avviso, essere negativa come concezione ma solo uno stimolo a coltivare i sogni, a mantenere l'entusiasmo. Dobbiamo avere fiducia e ottimismo nel futuro, altrimenti ci areniamo e in qualche modo smettiamo di vivere. Io sono una ottimista patologica e credo sempre che potrà essere meglio, nonostante le difficoltà e il periodo che stiamo tutti vivendo.

Di solito si dice che la scrittura è, per un autore, l'arte di mettersi a nudo. Con Come un fiore sul quaderno hai affrontato questioni della tua personalità o della tua storia individuale? C'è stato qualche aspetto della tua esperienza personale che hai potuto ''esorcizzare'' attraverso la scrittura?

Sicuramente ho affrontato la mia storia individuale di "solitudine" da bambina. Una volta mia madre mi ha detto di giocare con il muro ed io ho iniziato a parlarci con quel muro, costruivo dialoghi e facevo lavorare la mia fantasia. Ed ho potuto esorcizzare il mio "non sentirmi mai abbastanza".

Se dovessi indicare un target di riferimento per il tuo romanzo, a quale pubblico ti rivolgeresti?

Un pubblico trasversale, dai 10 anni - e mi piacerebbe portare questo mio romanzo nelle scuole - a chi ha ottant'anni e può tornare con la mente ai suoi dieci anni e sorridere. Insomma un pubblico vario, maschi e femmine.

Come un fiore sul quaderno viene ''etichettato'' come un romanzo di formazione. Secondo te qual è la lezione più importante che la tua protagonista ha dovuto apprendere?

Tra le pagine scrivo: "Se c’era una cosa che avevo imparato troppo presto è che le persone se ne vanno, a prescindere da quanto le ami".

Ecco questa è la lezione che ho capito, che nella vita i distacchi sono sempre tanti, purtroppo, ma proprio per questo dobbiamo vivere al meglio, cercando di esserci sempre per le persone che ci sono accanto, per le amiche, gli amici, per gli Altri.

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