Ieri il nuovo premier spagnolo, il popolare Mariano Rajoy, si è presentato in Parlamento e ha detto due cose fondamentali: non verranno aumentate le tasse e si procederà a tagli della spesa pubblica, salvando però il potere di acquisto dei pensionati. Il tutto condito da un piano di riforme liberalizzatrici dell’economia iberica; partendo dai potenti (anche lì) enti locali e arrivando al mondo del lavoro. Una manovra fiscale comunque ci sarà: e si prevede vicina ai 20 miliardi di euro. Fatte le debite proporzioni, in termini relativi è doppia rispetto a quella pensata da Monti. Ovviamente il discorso programmatico di un nuovo leader si deve poi concretizzare nei fatti. Entro la fine dell’anno, Rajoy, terrà il suo primo consiglio dei ministri e a quel punto capiremo nel dettaglio le mosse spagnole, e come dai principi si passerà alla pratica.
Cosa insegna all’Italia il caso spagnolo? Fondamentalmente tre cose. Le elezioni anche in tempi di crisi se danno una maggioranza forte e pienamente legittimata forniscono al nuovo governo una spinta riformista. L’idea che votare, durante una tempesta finanziaria, sia una sciagura è falso. Ci sono però due controindicazioni da prendere in considerazione: la prima è che il rigore dei conti si tiene meno bene a ridosso delle elezioni, la seconda è che le elezioni, soprattutto in Italia, non assicurano una maggioranza certa. Con altrettanta freddezza si deve però certificare che l’arrivo del governo Monti non ha migliorato i nostri differenziali e che la cosiddetta «credibilità internazionale» si vede più nelle foto e nei titoli dei giornali che nelle quotazioni dei mercati.
Il lato su cui aggredire la crisi del debito è quello della spesa. Non si devono ridurre, per quanto possibile, i quattrini nelle tasche dei cittadini attraverso nuove forme di tassazione o manovre estemporanee di cassa. Ovviamente non sta scritto da nessuna parte che la ricetta di Rajoy funzioni, ma noi riteniamo che sia la strada più giusta per la nostra politica economica.
Vediamo di essere più espliciti.
Proprio ieri i funzionari di Senato e Camera hanno certificato ciò che i giornalisti del Giornale vi hanno sempre detto: l’85 per cento del decreto salva Italia (è così berlusconiano e così poco tecnico questo appellativo!) è fatto di nuove entrate. E per il resto gran parte è affidata al congelamento dell’indicizzazione delle pensioni (che i popolari spagnoli hanno esplicitamente escluso). Insomma come l’acqua e il fuoco. Il governo tecnico fa esattamente il contrario di un governo politico. Sarebbe sciocco e preconcetto buttare a mare tutta la manovra di Monti. Il doppio passo di Elsa Fornero, di mettere a regime, bruscamente, le riforme delle pensioni fatte nel passato e provare a mettere mano al mercato del lavoro è cosa buona e giusta. E coraggiosa. Questa è materia che Berlusconi avrebbe dovuto fare senza indugio, portando piuttosto lo scontro fino alla sfiducia parlamentare (per la verità è ciò avvenne nel 1994). La strada è appunto questa: di riforma complessiva. Sembra invece, passateci il termine, che il governo invece di andare alla meta per conquistare il premio da un milione si fermi ad ogni passo per raccogliere cinque euro.
L’idea che ci siamo fatti è che la tipicità dell’emergenza italiana, che ovviamente esiste, sia largamente sopravvalutata, come la morte di quell’anziano signore. E in virtù di ciò ci si approfitta di raccogliere anche gli spiccioli nel mezzo del percorso. Bene la riforma delle pensioni; ma che senso ha tagliare il reddito disponibile dei pensionati con il trucchetto del blocco delle indicizzazioni? Se il sistema non è sostenibile si abbia il coraggio di adottare un taglio vero e strutturale e non un colpetto per fare cassa.
Discorso analogo sulle imposte. Veramente questo governo ritiene che sia possibile continuare con il processo di inseguimento della spesa pubblica attraverso l’aumento della tassazione? Tra pochi giorni le buste paga di tutti i dipendenti italiani (a giugno per gli autonomi) saranno gravate da un piccolo ma significativo conguaglio negativo per un’imposta aggiuntiva sul reddito che verrà prelevata con la dicitura addizionale regionale. Cosa è questa se non un innalzamento delle imposte su tutta la platea dei contribuenti e per di più con un meccanismo di scarsissima progressività?
Governare una Paese come il nostro è ovviamente molto complicato. Farlo dopo un paio di settimane per dei maverik della politica lo è di più.
Se i nostri tecnici guardassero meglio al caso spagnolo (Paese che ha ovviamente delle differenze sostanziali
rispetto all’Italia e ha un debito ben più gestibile) potrebbero abbandonare il loro pensiero unico: che è quello delle manovre depressive degli ultimi venti anni. Attendiamo la fase due, quella delle riforme e dello sviluppo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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