Primo Levi spiegava di avere tre lavori: il chimico, lo scrittore e il testimone. Il chimico lo aveva scelto, e non se n'era pentito. Scrittore lo era diventato quasi contro la sua volontà: faticava a considerare letteratura i suoi due capolavori, Se questo è un uomo e La tregua. Il terzo lo aveva intrapreso per puro senso del dovere. Da ebreo sopravvissuto ad Auschwitz, si sentiva in obbligo di tenere viva la memoria dei campi di sterminio nazisti. Il compito era meno doloroso se il pubblico era composto dai ragazzi delle scuole.
L'Incontro con Primo Levi (Luni editrice, pagg. 46, euro 10) di Attilio Zambon è la trascrizione del dialogo tra lo scrittore, il preside Zambon e gli alunni del Liceo classico Pietro Orseolo II del Lido di Venezia. Nel marzo 1975 erano usciti i racconti del Sistema periodico (Einaudi) e Levi ne parla come del suo ultimo libro. Però accenna anche all'Appendice scritta per una futura edizione scolastica di Se questo è un uomo (uscirà nel 1976). Quindi siamo sicuramente alla fine dell'anno scolastico 1974-1975.
Levi è di una generosità incredibile, non solo nel raccontarsi ma anche nel dichiararsi onestamente spiazzato da alcune domande. I ragazzi sono fantastici. Non hanno timore di porre le domande che avremmo voluto porre tutti a Primo Levi. Non chiedono solo il ricordo del lager ma si interrogano anche sulle implicazioni della Shoah. Ad esempio, cosa ci dice il campo di sterminio sulla natura della nostra specie: l'uomo nasce buono o cattivo? La società reprime (per fortuna) i nostri istinti peggiori o al contrario perverte la nostra anima, spingendola all'orrore? La «soluzione finale» è un'eccezione nella Storia o potrebbe ripetersi? Quale peso ha avuto la personalità di Adolf Hitler nella decisione di cancellare gli ebrei dalla faccia dell'Europa?
Gli studenti sono sorprendenti. Primo Levi si lascia sorprendere e accetta la sfida. Il risultato è una lezione civile e letteraria. Ma anche di umanità: modestia e pudore contraddistinguono sempre le parole di Levi.
Partiamo da un dettaglio. Levi tende a considerare letteratura solo i suoi racconti. Non definirebbe Se questo è un uomo come opera letteraria. Per due motivi: puro understatement; e soprattutto timore di sminuire la realtà della testimonianza. Ora, non c'è dubbio che Se questo è un uomo sia un'opera letteraria, con le radici piantate nella tradizione italiana, dove l'Inferno di Dante occupa uno spazio decisivo. Sul secondo punto, la risposta viene dalla platea. Prende infatti la parola la signora Cipollato, un'altra sopravvissuta ad Auschwitz. Dice di non aver mai voluto leggere un libro su quegli avvenimenti ma di essere stata quasi costretta dagli amici a prendere in mano Se questo è un uomo e La tregua. «Devo dire che non me ne sono pentita perché, oltre a essere libri di una preziosa testimonianza, sono veramente bellissimi proprio dal punto di vista estetico e letterario». Levi dunque accetti il titolo di scrittore: «È uno dei classici contemporanei».
Levi poi dice di essersi interrogato sulla discesa della Germania nell'inciviltà del nazismo e nella crudeltà dei lager. «Questo mio tentativo finisce con le mani alzate, e non solo da parte mia; io a mia volta ho proseguito il mio lavoro di testimone, nel quale ho solo raccontato le cose che ho visto, che ho visto accadere, l'ho proseguito leggendo, vedendo molti libri e cercando anch'io di documentarmi. E ho visto che la maggior parte degli storici più seri fanno come me, cioè propongono diverse tesi, diverse interpretazioni e poi alzano le mani. Cioè nel nocciolo della questione dei campi di sterminio in Germania c'è qualcosa di incomprensibile, qualcosa di disumano, qualcosa di totalmente irrazionale che qualcuno ha voluto cercare nella persona stessa di Hitler, personaggio indecifrabile sotto molti aspetti, un personaggio che sconcerta tutti, che ha qualcosa di mostruoso, qualcosa di disumano». Ricondurre tutto al carisma diabolico di Hitler è però un errore. «Ci si libera facilmente della questione dicendo: Hitler era matto, un matto non si giudica, il nazismo non si giudica. Questa tesi mi pare da rifiutare, perché è semplicistica; però che ci sia una componente personale in questo, penso che non si possa negare, e penso che sia questa la ragione per cui alle due frasi Mai più! Mai più? si possa sperare di fermarsi alla prima, perché il confluire simultaneamente di tutte queste componenti, compresa quella della follia individuale, proprio per ragioni di probabilità, è difficile che si ripresenti».
Levi poi affronta il tema della vera natura dell'uomo: «Non mi hanno mai domandato questo. Ho bisogno di qualche secondo per concentrarmi e pensarci sopra. Io penso che non sia né buona, né cattiva, io penso che la radice dell'uomo sia evoluzionistica, che l'uomo derivi dai mammiferi e che alberghi in sé le spinte primordiali animalesche, che devono essere controllate in qualche modo dalla ragione: non siamo degli animali, siamo uomini, il passato ha fatto un salto da allora in poi. Tuttavia, certamente alberghiamo ancora in noi delle spinte che sono animalesche e che è difficile definire buone o cattive». Poi propone al ragazzo che ha posto la domanda di continuare il dialogo via posta.
Il terzo grande tema è questo: perché gli ebrei? Levi spiega innanzi tutto che l'odio nazista «non era diretto solo verso gli ebrei, era diretto verso tutti»: gli slavi, gli oppositori politici, i neri. «E accanto a tutti e più in giù di tutti, il popolo ebreo che per Hitler rappresentava veramente l'anti-Germania, il nemico eterno della Germania. Anche nella sua incarnazione cristiana: anche il cristianesimo era antitedesco e doveva essere paralizzato, bloccato o distrutto. In questo suo mito, che aveva delle radici certamente irrazionali, però attingeva alla lunga tradizione di antisemitismo tedesco, il popolo ebreo figurava veramente come il grande nemico, a cui si attribuivano tutti i difetti e che doveva venire allontanato dal cuore del popolo tedesco perché era essenzialmente estraneo dal popolo tedesco. Gli ebrei erano Volksfremde, erano estranei al popolo, erano addirittura secondo una teoria estremistica nazista degli uomini apparenti, cioè il loro aspetto umano era un inganno dei sensi: erano qualcosa di estraneo, non solo ai tedeschi, ma all'intera popolazione umana, e quindi dovevano essere tolti di mezzo».
Inutile dire che Incontro con Primo Levi è un libro importante che, ad esempio, si potrebbe portare nelle scuole, per leggerlo e discuterne. Ancora più inutile sottolineare la sua attualità nell'Europa che riscopre l'odio per l'ebreo.
Oltre a ciò, Levi ci rifila una lezione di sobrietà che sembra quasi lunare in una società disabituata al dialogo e sempre più lontana dal misurare le parole. Aprite un qualsiasi social network per averne immediata e disgustosa conferma.
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