Alcuni begli spiriti nell'Inghilterra vittoriana sconsigliavano nei periodi di crisi finanziaria la lettura dei giornali alle signorine di buona famiglia. Promesse di quiete svanite, voci malevole, richiami a dominare i nervi in saliscendi, attacchi di panico, erano giudicati troppo eccitanti. Com'è in effetti anche questa crisi che ritorna e resta indecisa malgrado le iniezioni di denaro con cui s'è cercato di esorcizzarla. E, non ci saranno più le signorine di una volta, tuttavia l'ansia di taluni banchieri a New York, Tokio o Francoforte o Londra non deve ora essere da meno. Ne fa fede il non aumento dei tassi della Bce che, come il calo di quelli della Federal Reserve, è fatto per rassicurare e però inquieta. Giacché perlomeno conferma che il guaio innescato dalla crisi dei mutui americani non è sanato e che le banche ancora si fidano ben poco di prestarsi denaro.
L'evolvere febbrile della tensione è stato ritmato come sempre dai tassi d'interesse. Quelli interbancari americani erano saliti al livello più alto dal 2001; come quelli europei che avevano superato di 76 centesimi i tasso di rifinanziamento della Bce prima del suo intervento. E Londra è riuscita a fare di peggio: il libor a tre mesi sulla sterlina è arrivato ben 100 punti sopra il tasso di riferimento. Per l'imbarazzo di alcune grandi banche la Bank of England pare più d'ogni altra volersi mantenere ligia alle prescrizioni d'una volta. Prima del 1914 la norma era di prestare a oltranza ma discriminando coi tassi. E a ben pensarci anche la reazione del povero Bernanke ha un che d'antico. Il tasso di sconto tagliato al 5,75% è rimasto pur sempre sopra quello dei Federal Funds. Come a dire che i bei tempi di Greenspan sono passati e che tocca ai banchieri privati di farsi carico del rischio delle attività da scontare. Bel gesto, che tuttavia lascia irrisolto il guaio, che è proprio questo: nessuno è oggi capace di dare un confine al rischio che dai mutui subprime si è sparso.
È inoltre curioso che sia stata proprio la Deutsche Bank ad esortare la Bce a rivedere la lista dei titoli a garanzia dei prestiti alle banche, accettando gli standard americani. E chi poteva essere, se non appunto la banca che ha Greenspan per suo consulente? Ovvero chi ha originato questa trama contorta. È stato costui infatti ad aver nutrito lo squilibrio con un eccesso di moneta. Valori mobili e immobili con lui sono entrati in una spirale speculativa da Terzo Millennio. Mentre le politiche delle banche centrali per farvi fronte non sono evolute di tanto. Con una debolezza in più rispetto al 1914. Il liberismo di una volta mai avrebbe lasciato correre la massa monetaria come hanno lasciato fare le banche centrali durante questa globalizzazione. A evitarlo c'era il vincolo della base aurea. Adesso c'è invece stato un proliferare di carta, di cui spesso nemmeno il più esperto sa delimitare il valore collaterale.
Ma a correre i rischi peggiori per ora non è l'Europa che vede ridimensionata la sua crescita. Stavolta il centro del guaio sono gli Stati Uniti, la patria perenne di tutte le euforie e le depressioni.
Geminello Alvi
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