Dopo la Libia Sarkozy ci prova con la Siria...

Il premier Fillon apre i giochi: il Consiglio di sicurezza non può continuare a tacere ancora a lungo. Ma il collega russo Putin lo gela e conferma che Mosca bloccherà col suo veto iniziative contro Damasco

Dopo la Libia Sarkozy  
ci prova con la Siria...

Il generale Sarkozy, dato per disperso in Libia dopo uno scenografico tentativo di prendere la guida delle operazioni destinate ad abbattere Muammar Gheddafi, tenta di rimaterializzarsi in Siria. Sulla crisi che insanguina quel Paese «il Consiglio di Sicurezza dell’Onu non potrà restare ancora in silenzio a lungo», ha avvertito il suo premier François Fillon, mostrando di voler attribuire nuovamente alla Francia e al suo presidente - all’affannosa ricerca di temi che ne rilancino l’immagine in vista delle elezioni del prossimo anno - un ruolo guida.

Fillon parlava durante la visita ufficiale a Parigi del suo collega russo Vladimir Putin, al quale ha voluto ricordare che «si avvicina il momento in cui ciascuno dovrà assumersi le proprie responsabilità e noi vogliamo agire nella legalità internazionale». Mosca ha però notoriamente un consolidato rapporto privilegiato con Damasco fin dai tempi dell’Unione Sovietica e le sue navi sono ancora alla fonda nel porto siriano di Tartous. Ancora ieri l’altro il presidente russo Dmitry Medvedev ha ripetuto che il suo Paese intende fare ricorso al proprio diritto di veto in Consiglio di Sicurezza per impedire l’approvazione di una risoluzione contro il regime di Bashar al-Assad.

Non stupisce perciò che la risposta di Putin sia stata negativa. «Noi riteniamo che l’interferenza nelle questioni sovrane di Stati indipendenti sia senza prospettive», ha detto il premier russo durante la conferenza stampa congiunta tenuta con Fillon. E a un giornalista che insinuava il sospetto che così facendo Mosca intendesse in realtà coprire il regime di Assad, Putin ha replicato: «Non stiamo dando copertura a nessuno. Vogliamo solo trovare gli strumenti giusti per risolvere i problemi insieme» e si è limitato a concedere che «una certa pressione andrebbe esercitata sulla leadership di ogni Paese in cui vi siano sommovimenti di massa e spargimenti di sangue».

In realtà la Siria è un terreno sul quale le ambizioni di Parigi e Mosca si scontrano. Il retroterra storico è comune: la Francia da ex potenza coloniale nel primo dopoguerra che ha lasciato impronte culturali ancora riscontrabili nella laica ex provincia ottomana, la Russia da erede di quell’Unione Sovietica che utilizzava la Siria come pedina nella complessa partita della guerra fredda contro il rivale americano. Oggi la partita è complessa, e vede la presenza in campo di numerosi attori, fra cui primeggiano potenze regionali come l’Iran e l’Arabia Saudita. In ballo c’è anche il destino del Libano, sul quale pure Parigi vagheggia la ripresa di una qualche forma di egemonia.
Mentre Francia e Russia mettono sul tavolo le loro carte in vista del momento della verità in Siria, nel Paese di Assad continuano le manifestazioni di protesta contro il regime e le violenze, mentre la Turchia apre nuove tendopoli per i profughi siriani che hanno trovato rifugio oltre il suo confine e che hanno superato quota undicimila. Nelle principali città siriane il regime manda in piazza i suoi sostenitori, che sventolano striscioni e agitano gigantografie del leader, e che regolarmente finiscono per scontrarsi con gli oppositori di Assad. Nelle città di Homs e Deir el-Zor ci sono stati ieri tre morti in scontri di questo genere.

Al confine con la Turchia continua la caccia aperta dall’esercito a quanti cercano di fuggire all’estero: i

colpi d’arma da fuoco si sentono al di là della frontiera. Al tempo stesso, per offrire di se stesso (fuori tempo massimo) un’immagine meno tetra, Assad ha firmato una nuova amnistia generale, la seconda in tre settimane.

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