Milano Moda Donna ha chiuso i suoi battenti lo scorso lunedì. Abbiamo avuto quindi tutto il tempo per riflettere su alcune dinamiche a cui abbiamo assistito e a cui, per la verità, assistiamo ogni singola volta che il circo della moda fa tappa in città. Un'edizione, quest'ultima che ha visto sfilare in passerella le collezioni della primavera estate 2018, densa di eventi e manifestazioni: alcuni molto importanti, altri meno importanti, altri ancora talmente tanto importanti da fare cadere nel dimenticatoio il motivo stesso per cui per sei giorni giornalisti e buyer di tutto il mondo confluiscono a Milano, ovvero la moda.
Esserci o non esserci, parafrasando Amleto, sembra essere diventato il fulcro intorno a cui gira e orbita il carrozzone fashionista. Il valore di ogni singolo individuo che della moda fa o vuole fare parte si misura in base alla presenza ad eventi e party. Se ci sei, e soprattutto puoi dimostrare con un corredo di foto su Instagram e Facebook di esserci stato, allora sei uno giusto. Se non ci ci sei, allora no. Poco importa se la tua penna è colta e brillante e la tua visione lucida e lungimirante. Non sei nel giro giusto, non scrivi per la testata giusta, non sei abbastanza top influencer sui social network, sei, ipso facto, uno sfigato, destinato non soltanto a non essere accreditato ai party più blasonati, ma ad essere confinato, dentro il recinto degli standing, ovvero in quel luogo discriminatorio dove vengono ammassati tutti gli invitati alle sfilate che non hanno l'onore di avere un posto a sedere, tutti quelli destinati a subire l'onta di vedersi sfilare – non usiamo il termine a caso - sotto al naso, la banda di privilegiati (talvolta anche imbarazzati) colleghi muniti di sitting. Perché se sei in standing, entri dopo. Questa è la regola. A meno che tu non abbia un priority standing, allora puoi entrare ma non sederti, è chiaro. Tutto ciò sempre se ti fanno l'onore, non sempre concesso, di invitarti. Anche perché spesso la location è troppo piccola (cit.).
Per non parlare di quelle agenzie di comunicazione che ti danno il tormento – via mail, telefonando, mandando messaggi su Whatsapp, inviando piccioni viaggiatori - perché tu sia presente a quegli eventi che sanno di per certo saranno poco bazzicati dalla stampa, mentre poi non ti accreditano alle sfilate dei loro top brand – le location a questo punto sembrano restringersi come maglioni di cashmere lavati in lavatrice a 50 gradi - e ti mettono in standing (ariecchice) alle sfilate di marchi, considerati dai più, di media importanza. Oppure di quelli che non abbiamo modo di “accomodarti” per quest'anno, la location – indovinate? - è troppo piccola, ma possiamo mandarti subito tutto il materiale stampa così puoi pubblicare. Fateci capire, non siamo degni di un invito ma lo diventiamo nel momento in cui vi serve fare rassegna? Ah, beh. Allora non vediamo l'ora di ricevere comunicato e foto da pubblicare...
Immaginiamo che il lavoro negli e degli uffici stampa non sia facile. Gestire le innumerevoli richieste di accredito non è semplice, soprattutto oggi che non sono più soltanto giornalisti e buyer a voler essere presenti, ma anche web editor, influencer, blogger e nuove figure varie ed eventuali che popolano, più o meno di diritto, il panorama della comunicazione. Non è facile, è vero, ma per chi rimane dentro a quel recinto è mortificante e discriminante. Altro che democratizzazione della moda, di cui tanto ci si riempie la bocca. Non è facile, no. Ma quello che ci piacerebbe ci fosse è solo un po' di meno snobbismo e più considerazione per chi lavora, anche se non ha decine di migliaia di follower o non è ancora riuscito a diventare la firma più prestigiosa di un quotidiano nazionale.
Considerazione per chi questo mestiere se lo è scelto, per chi ha provato e prova in ogni modo a trasformare il sogno di scrivere in una concreta fonte di guadagno (e se è scarsa chi se ne importa, il gioco vale pur sempre la candela). Considerazione per chi delle collezioni deve scrivere perché pagato per farlo e non si trova lì perché vuole farsi vedere. Il problema è annoso e di non facile risoluzione, ne siamo consapevoli, ma forse location un pelino più grandi – ci risulta che a Milano non manchino - o un minimo di empatia potrebbero mettere una toppa almeno da qualche parte.
La verità è che di questo sistema difficile per tutti da gestire e da vivere, quelli che stanno pagando lo scotto più alto sono i giornalisti di nuova generazione, soprattutto quelli del web, quelli che non si capisce se considerare carne o pesce, quelli che vivono in una terra di mezzo e nessuno sa se accreditare tra i blogger o fra i giornalisti della carta stampata. Anche perché i senatori, quelli che scrivono da secoli sui cartacei, avranno sempre, e giustamente, di diritto un posto in prima fila, così come gli influencer, che pare muovano le masse di consumatori (che ci crediate o meno è un problema vostro, ci limitiamo a riportare quello che sentiamo).
Ma ci chiediamo: che si farà quando quelle firme autorevoli non ci saranno più, perché così va la vita e prima o poi tutti vanno in pensione, e nel frattempo il fenomeno influencer si sarà estinto, perché è fisiologico che succeda? Pensate davvero che quegli editor per cui prima la location era troppo piccola o che, tuttalpiù, venivano recintati nel mare magnum degli standing in perenne attesa, saranno lì pronti a scapicollarsi da una parte all'altra di Milano per essere presenti ai vostri eventi?
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