L'ultima intervista di Lou Reed (e altri litigi furiosi)

Il cantante odiava i giornalisti. Un libro raccoglie gli scontri più famosi. Con una sorpresa

L'ultima intervista di Lou Reed (e altri litigi furiosi)

«I l suono è l'inesplicabile. Il suono è come la luce... C'è un suono che puoi sentire sempre, se fai attenzione. Sono i tuoi nervi, il tuo sangue che corre. È straordinario... La vita è musica». E ancora: «Il primo suono, per tutti, è il battito del cuore della madre. Mentre cresciamo, siamo accompagnati dal ritmo. Questo è il motivo per cui ci piace il rock'n'roll. È così semplice. Lo conosciamo da sempre». Queste citazioni fanno parte dell'ultima intervista, rilasciata da Lou Reed a Farida Khelfa, per Rolling Stone (uscito l'8 novembre 2013, Reed era morto il 27 ottobre). È una piccolo, perfetto colloquio ora ripubblicato, assieme ad altri, in Lou Reed. The Last Interview and Other Conversations (Melville House, pagg. 114, euro 15, 81).

Ma questo Lou Reed è lo stesso a cui siamo abituati? Quasi non si direbbe. Diamo un'occhiata alle altre conversazioni del volume. Riavvolgiamo il nastro fino allo scontro epico tra Lester Bangs e Lou Reed apparso come racconto-intervista nel 1975 su Creem (in Italia si può leggere nell'antologia Guida ragionevole al frastuono più atroce , a cura di Greil Marcus, minimumfax, 2005). Bangs è già diventato famoso per il suo stile, che potremmo accostare a quello di Hunter S. Thompson. Reed è in uno strano periodo: è ingrassato, poi dimagrito drasticamente, secondo Bangs assomiglia a «un insetto». Dopo il successo di Transformer , se ne è uscito con l'introverso Berlin , un capolavoro ma un fiasco in termini di vendite, e con Sally Can't Dance , poco più d'una accozzaglia di scarti finita però in classifica. Perso in dipendenze varie, Reed ha portato sul palco la propria decadenza, arrivando a fingere di farsi una pera e regalando, in una occasione, la siringa a un fan. Il cantante è noto per maltrattare i giornalisti, Bangs non è tipo da lasciarsi intimorire. Questo è il ritratto introduttivo che riserva al suo idolo d'un tempo: «Un ruffiano che vive di quello stupido nichilismo della generazione degli anni Settanta che non ha l'energia di suicidarsi». Reed lo saluta così: «Il buonsenso mi porta a credere che tu sia un idiota». Bangs non si scompone e parte con la prima domanda: «Non ti senti mai la caricatura di te stesso?». E via così, per due ore (dall'una alle tre del mattino) di insulti condensate in poche pagine da manuale del new journalism .

Altro scontro micidiale, l'intervista con David Marchese per Spin . Se il match Bangs-Reed finisce in parità, perché Bangs ha il dono della scrittura, qui Reed manda l'interlocutore al tappeto, e poi infierisce con crudeltà. Siamo nel 2008. Reed si esercita nelle arti marziali, nella fotografia e nella musica elettronica. Dal punto di vista discografico, è un periodo sperimentale, ancora da scoprire. Ci sono Hudson River Wind Meditations (2007), Metal Machine Music (accreditato ai tedeschi Zeitkratzer ma in tutto il disco, inciso nel 2002 e uscito nel 2007, c'è Reed), The Creation of the Universe (accreditato al Metal Machine Trio, 2008) e The Stone: Issue Three (Reed con John Zorn e Laurie Anderson, 2008). L'intervista batte altre strade. Risposta sull'attualità o meno di canzoni a tema gay: «Non ne ho la più pallida idea». Risposta sull'influenza del pop sui comportamenti del pubblico: fissa il giornalista in silenzio. Risposta sugli aspetti morali di brani come Heroin : «Non saprei». Risposta su quanto il Tai chi influenzi le nuove composizioni: «Tutto influenza il mio modo di scrivere. Non capisco cosa vuoi sapere. Vuoi che ti risponda: sì, mi influenza molto? Ti faciliterebbe il lavoro?». Risposta su come sente di essere percepito dalla gente e dai critici: «Non mi interessa discutere di simili cazzate».

In realtà Lou Reed vuole parlare di musica e detesta ricordare il passato, a meno che non ci sia un motivo preciso come qualche riedizione di vecchio materiale. Quando incontra l'interlocutore giusto, Reed sa perfino essere generoso. In The Last Interview ci sono altri tre pezzi. Uno trascurabile, a meno che non siate lettori di Paul Auster: nel dialogo con il musicista, il romanziere si prende il centro della scena e non lo molla mai. Gli altri due invece sono interessanti. A David Fricke, nel 1989, racconta quali sono i suoi modelli. Hubert Selby e William Burroughs tra gli scrittori. Archie Shepp, Ornette Coleman, Don Cherry, Cecil Taylor, Charlie Haden tra i musicisti: non uno che suoni rock, siamo di fronte al gotha del free jazz. A Neil Gaiman (proprio lui, l'autore di American Gods ), nel 1992, rivela di scrivere prima i testi, di provare (quasi sempre) a comporre versi capaci di reggere senza la musica.

Aggiunge di aver (quasi sempre) evitato di assumere posizioni scoperte: «Ciò che descrivo parla da solo, non c'è bisogno del mio commento».

No, non c'è bisogno del commento. In fondo ha ragione Reed: il rock'n'roll lo conosciamo da sempre. È così semplice. E divertente.

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