Tripoli - La telefonata da Bab al Azizya, la cittadella fortificata al centro di Tripoli dove vive Muammar Gheddafi, arriva in mattinata. «Tieniti pronto, il leader ti aspetta» dicono gli uomini del Colonnello. In realtà passeranno oltre quattro ore prima di intervistare in esclusiva il nemico numero uno della comunità internazionale. Bab Al Azizya ha diversi muri di fortificazione e ad ogni passaggio unità speciali, che assomigliano ai marines per l'equipaggiamento, ti passano ai raggi X. Poi ti fanno attendere in una palazzina usata come anticamera per gli ospiti servendo tè alla menta. Oltre ai reticolati, le feritoie e i blocchi anticarro spunta ogni tanto qualche postazione messa in piedi di recente con i sacchetti di sabbia.
Ad un certo punto i pretoriani di Gheddafi mi scortano nella cerchia più interna della cittadella fortificata. Ed il mondo cambia. Un vasto prato verde, palme, poche guardie armate ed un'incredibile mucca pezzata, che bruca l'erba, neanche fossimo in Svizzera. L'intervista si fa rigorosamente sotto una grande tenda in mezzo al piccolo parco. Dentro è colorata di verde e spartana, a parte gli enormi condizionatori ed una tv al plasma. Il colonnello in tenuta da beduino color terra arriva al volante di una macchinetta elettrica. Mi presento con un «Salam aleik» («la pace sia con te») e lui sorride. Ordina subito niente foto e telecamere. Solo i suoi uomini possono scattare qualche immagine. Ci sediamo su delle poltrone un po' impolverate attorno ad un tavolino basso. Fra noi solo un telefono ed un pulsante, forse per far intervenire le guardie che non si fanno vedere.
Gheddafi sembra di buon umore e da vicino appare in forma, anche se con qualche ruga di troppo ed i capelli riccioluti visibilmente tinti. Non solo è alla mano, ma ogni tanto ridacchia alle domande più scabrose. Cerco sempre di incrociare il suo sguardo, ma ad un certo punto inforca gli occhiali da sole a goccia. Nell'intervista con Il Giornale ne spara di tutti i colori.
Le sue truppe marciano su Bengasi, la roccaforte ribelle. Siete pronti a riconquistare la Cirenaica con la forza militare o utilizzando anche il negoziato?
«Dialogo con chi? Il popolo è dalla mia parte. La gente ci chiede di intervenire dicendo “liberateci da queste bande armate”. Negoziare con i terroristi legati ad Osama Bin Laden non è possibile. Loro stessi non credono al dialogo, ma pensano solo a combattere e ad uccidere, uccidere ed uccidere. La sua idea della situazione a Bengasi è completamente sbagliata. La popolazione ha paura di questa gente e dobbiamo liberarla».
Scusi, ma il capo del Consiglio nazionale dell'opposizione, Mustafa Abdel Jalil, era il ministro della Giustizia libico fino a poche settimane fa. Non tutti i ribelli sono terroristi...
«La gente di questo Consiglio è come se fosse ostaggio di Al Qaida. Li stanno temporaneamente usando. Il Consiglio è una facciata, non esiste. Alcuni militari che ne fanno parte ci hanno detto che non avevano alternative: o accettavano o li avrebbero sgozzati come faceva Al Zarqawi (il terrorista di Al Qaida ucciso in Irak nda)».
Quanto tempo ci vorrà per riconquistare la Cirenaica in mano ai ribelli?
«Non hanno speranze, per loro è una causa oramai persa. Ci sono solo due possibilità: arrendersi o scappare via. Questi terroristi utilizzano i civili come scudi umani, comprese le donne».
Non teme che un attacco alle grandi città in mano ai ribelli possa finire in un bagno di sangue?
«Dobbiamo combattere il terrorismo. Per questo stiamo avanzando rapidamente prima di evitare massacri».
Però state negoziando con le cabile, le tribù libiche, per evitare il peggio...
«I terroristi non stanno a sentire né le cabile, né il sottoscritto, né lei. L'ordine alle nostre truppe è di circondarli, metterli sotto assedio. Poi spero e prego Allah che accettino la resa senza combattere mettendo in mezzo i civili. Se si arrenderanno non li uccideremo».
Misurata, la terza città del paese, è già assediata. Come andrà a finire?
«I terroristi verranno processati, ma la gente normale, che è stata fuorviata, verrà perdonata. Ci sarà clemenza se abbasseranno le armi».
La comunità internazionale pensava fin dall'inizio che lei fosse spacciato...
«Non sanno cosa accade veramente in Libia (e comincia a ridacchiare). Il popolo è con me. Il resto è propaganda. Posso solo ridere».
La Libia aveva un ottimo rapporto con l'Italia e lei personalmente con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Come giudica la netta presa di distanza e le mosse del governo italiano?
«Sono realmente choccato dall'atteggiamento dei miei amici europei. In questa maniera hanno messo in pericolo e danneggiato una serie di grandi accordi sulla sicurezza, nel loro interesse e la cooperazione economica che avevamo».
Con Berlusconi c'era anche un rapporto personale...
«Sono talmente choccato, mi sento tradito: non so che dire a Berlusconi».
Ma è vero che ci sono contatti con il governo italiano?
«Io non ho più alcun contatto con l'Italia e Berlusconi. C'è, però, la possibilità che il ministero degli Esteri libico e altre autorità siano in contatto con gli italiani».
L'Eni ha grandi contratti e joint venture per lo sfruttamento del petrolio e del gas in Libia. Cambierà qualcosa?
«Penso ed auspico che il popolo libico riconsidererà i legami economici e finanziari e anche quelli nel campo della sicurezza con l'Occidente».
Significa che volete rescindere i contratti energetici con l'Italia?
«Quando il vostro governo sarà sostituito dall'opposizione ed accadrà lo stesso con il resto del'Europa il popolo libico prenderà, forse, in considerazione nuove relazioni con l'Occidente».
Lei ha lanciato l'allarme: una marea di immigrati invaderanno l'Europa e per prima l'Italia. Il pericolo è reale?
«Se al posto di un governo stabile, che garantisce sicurezza, prendono il controllo queste bande legate a Bin Laden gli africani si muoveranno in massa verso l'Europa. E il Mediterraneo diventerà un mare di caos. Per il momento la striscia di Gaza è ancora piccola, ma si rischia che diventi grande. Tutto il Nord Africa potrebbe trasformarsi in una sorta di Gaza. Per Hamas è una buona notizia».
A livello internazionale si sta parlando di imporre alla Libia una zona di non sorvolo e la Francia sembrava pronta a bombardare. Qual è la sua reazione?
«Penso che il signor Sarkozy ha un problema di disordine mentale (ed il Colonnello si batte il dito indice sulla tempia per spiegarsi meglio). Ha detto delle cose che possono saltar fuori solo da un pazzo».
Pensa che gli americani torneranno a bombardare la Libia come nel 1986?
«Se diventano matti, come Reagan, lo faranno. Noi combatteremo e vinceremo. Una situazione del genere servirà solo ad unire il popolo libico».
Se supererà la crisi è pronto a fare un passo indietro lasciando spazio a suo figlio Seif al Islam e a riforme?
«Lo decideranno i libici attraverso i Comitati popolari ed il Congresso del popolo (una specie di Parlamento nda). Le riforme vanno bene e pure per mio figlio, se la scelta verrà dal popolo l'accetterò».
Il presidente tunisino Ben Ali è fuggito. Quello egiziano lo hanno costretto a ritirarsi a Sharm el Sheik. Non ha paura di finir male? (Gheddafi capisce la domanda e fa una risata)
«Sono ben diverso da loro. La gente sta dalla mia parte e mi da la forza. Non ho paura».
Neppure di venir processato per crimini di guerra?
«Qualsiasi commissione internazionale può venire in Libia a rendersi conto sul terreno cosa è accaduto veramente».
Non teme di finire come Saddam Hussein? (Il traduttore a questa domanda sbianca e ci gira attorno parlando più vagamente del destino dell'Iraq.
Il colonnello capisce e ridacchia)«No, no, la nostra guerra è contro al Qaida, ma se loro (gli occidentali) si comportano con noi come hanno fatto in Iraq, la Libia uscirà dall'alleanza internazionale contro il terrorismo. Ci alleiamo con al Qaida e dichiariamo la guerra santa».
(ha collaborato nella traduzione Sergio Bianchi)
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