Caso Palamara, Ferri assolto dal Csm. Inutilizzabili le frasi captate dal trojan

La Disciplinare accetta il verdetto della Camera sulle intercettazioni all’Hotel Champagne dell’ex pm (allora deputato) registrate dal cellulare dell’ex Anm

Caso Palamara, Ferri assolto dal Csm. Inutilizzabili le frasi captate dal trojan
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E due. Cosimo Ferri brinda (a champagne?) per la seconda assoluzione, stavolta alla Disciplinare del Csm. La sentenza sull’ex leader di Magistratura indipendente e parlamentare Pd riguarda l’incontro all’Hotel Champagne di Roma, il 9 maggio del 2019, quando con Luca Palamara, Luca Lotti e 5 togati del Csm si discusse della nomina a procuratore di Roma Marcello Viola, quasi ratificata poi saltata dopo la pubblicazione sui giornali delle conversazioni captate col trojan nel cellulare dell’ex leader Anm.

La sentenza arriva dopo il verdetto favorevole delle Sezioni unite civili della Cassazione dei giorni scorsi sul caso di Amedeo Franco, uno «stimato giudice» che Ferri avrebbe accompagnato da Silvio Berlusconi all’inizio del 2014 per raccontare alcuni retroscena sulla sezione feriale della Cassazione (di cui Franco, morto nel 2019, faceva parte) che l’1 agosto 2013 aveva condannato il Cavaliere. Nessun complotto per screditare la corte, come invece aveva stabilito la Disciplinare, togliendo due annidi anzianità a Ferri. Per Franco quel collegio che condannò l’ex premier, decaduto da senatore, era «un plotone di esecuzione».

Anche stavolta le accuse mosse da Palazzo de’ Marescialli si sono sgretolate perché le intercettazioni a carico di Ferri (all’epoca dei fatti parlamentare del Pd a trazione renziana, poi di Italia Viva e oggi vicepresidente dei giudici tributari) non sono ammissibili, come ha stabilito la Camera dei deputati lo scorso dicembre. Un niet rispetto al quale il Csm stavolta ha deciso di non sollevare un altro conflitto di attribuzione alla Consulta. L’incolpazione si basava solo su quelle frasi, la prova è venuta meno.

È stato il vicepresidente del Csm Fabio Pinelli, a inizio udienza, ad annunciare che non avrebbe fatto ricorso alla Corte costituzionale per chiedere l’utilizzabilità delle intercettazioni, come aveva chiesto la settimana scorsa la Pg della Cassazione, anche per non innescare un doloroso braccio di ferro col Parlamento proprio nei giorni in cui si discute la riforma della giustizia, la separazione delle carriere e i test psicoattitudinali per i magistrati.

Alla fine il sostituto Pg della Cassazione Simone Perilli ha chiesto l’assoluzione del magistrato per «insussistenza del fatto e mancanza di prove» mentre per la difesa, rappresentata dall’avvocato Luigi Panella aveva chiesto l’assoluzione per «l’esclusione dell’addebito» e «perché il fatto non sussiste».

La camera di consiglio è stata breve, il verdetto invece riaccende i riflettori sulla vicenda Palamara, ben raccontata dallo stesso ex magistrato nei libri con Alessandro Sallusti Il Sistema e Lobby&Logge e recentemente rivista da Alessandro Barbano (oggi direttore del Riformista) nel libro La gogna. La verità sulla vicenda che portò a decapitare mezzo Csm, a spodestare Viola da Roma e a mascariare Palamara, Lotti e Ferri è tutta da riscrivere.

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