È come se i tasselli di un puzzle andassero a posto uno dopo l'altro. Perché sono sei anni che Alberto Di Rubba (nella foto con Salvini) si chiedeva come diavolo fosse possibile che sull'Espresso, ogni domenica, finissero in copertina il suo nome, i suoi conti correnti, le società che amministrava. Oggi è il tesoriere della Lega, allora era il direttore amministrativo del gruppo parlamentare, e gli scoop del settimanale (allora) di De Benedetti chiamavano in causa, insieme a lui, tutto il partito a partire dal suo leader, Matteo Salvini. «Nulla di imprevisto, fa tutto parte della politica - racconta oggi Di Rubba - ma la domanda che mi facevo era: da dove hanno preso queste carte?».
E che risposta si dava?
«Pensavo alla ipotesi più ovvia, che venissero da qualche fascicolo di inchiesta aperto da qualche Procura, una fuga di notizie del genere cui siamo purtroppo abituati. E invece...»
Invece?
«Quando è esploso il caso dei dossier è cambiato tutto. Fin dalla prima ondata, quando sui giornali è stato pubblicato il primo elenco delle vittime degli accessi abusivi compiuti dal tenente Striano alle banche dati. In quei primi elenchi il mio nome non c'era, ma c'erano persone a me vicine, c'erano esponenti della Lega, persone che avevano una carica o altre che pur non essendo politicamente esposte avevano rapporti con la Lega. Era già chiaro che nel mirino ero finito anche io. Poi recentemente sono stati pubblicati altri elenchi, e lì c'era anche direttamente il mio nome. Nel contesto, voglio ricordarlo, di una attività compulsiva di accessi abusivi, alla media incredibile di un accesso ogni minuto e ventuno secondi, che aveva la Lega come obiettivo principale. Le date degli accessi e degli articoli non lasciano dubbi, gli articoli dell'Espresso venivano alimentati dai dossier di Striano. E questo apre un ulteriore problema».
Ovvero?
«Siamo abituati a inchieste giudiziarie trasformate in articoli di stampa. Qui forse è accaduto esattamente il contrario. È nata prima la notizia o l'inchiesta? Voglio raccontarle una cosa».
Dica.
«Quando venne la prima volta la Guardia di finanza a perquisirmi casa e ufficio, in mano i militari avevano le fotocopie dell'Espresso. Acquisirono i documenti di sette società da me amministrate fiduciariamente nel pieno rispetto della legge. Il grafico che usavano per identificare le società era il grafico pubblicato dal settimanale. Nel fascicolo d'inchiesta, quando potetti visionarlo, trovai la fotocopia dell'Espresso. E scoprii che la data di apertura dell'inchiesta contro ignoti per la vicenda dei 49 milioni era successiva alla pubblicazione dell'articolo».
Potrebbe essere una bella storia di giornalismo investigativo, no?
«Ma oggi sappiamo da dove venivano quegli articoli, cioè dall'attività di dossieraggio di Striano. Ho dovuto assistere a una persecuzione continua, alla violazione sistematica della mia privacy attuata da un ufficiale della Guardia di finanza in collaborazione con giornalisti che oggi sono indagati con lui. Io in questi anni ho sporto denunce più volte per il trattamento cui sono stato sottoposto, e le denunce sono finite regolarmente archiviate. Ma francamente non avrei immaginato quello che c'era dietro. Adesso sono determinato ad andare fino in fondo, e per questo oggi ho dato mandato ai miei legali di chiedere alla Procura di Perugia l'accesso agli atti dell'indagine. Credo di avere diritto di sapere cosa è accaduto e perché».
Il procuratore Cantone sembra dubitare che il rapporto di amicizia tra Striano e i giornalisti sia sufficiente a spiegare quanto accadeva. Pensa anche lei che ci sia dietro un disegno più complicato?
«Il rapporto tra Striano e i giornalisti è un dato di fatto. Se poi c'è qualcosa d'altro, credo che la Procura di Perugia abbia tutta l'intenzione di scoprire la verità».
A che punto è la sua vicenda processuale?
«La perquisizione che mi venne effettuata con la copia dell'Espresso era stata disposta nell'indagine per il presunto riciclaggio dei 49 milioni, che da quanto ho letto è stata poi archiviata: non ho notizie dirette, perché non ero indagato. Ho ancora in corso il ricorso in Cassazione per la Lombardia Film Commission, basato sulla presunta irregolarità di una operazione immobiliare: il cui valore è stato riconosciuto congruo nel processo a un mio coindagato, diversamente da quanto scritto dai giudici nelle sentenze a mio carico. Sono certo che anche nel mio caso la magistratura saprà ricostruire correttamente la vicenda».
Una volta Pci e Dc facevano eleggere in Parlamento i loro tesorieri per evitare loro i guai giudiziari. Non è pentito di non essersi fatto candidare?
«Io sono stato perseguitato quando non ero neanche il
tesoriere. L'anno scorso poi il tesoriere ha fatto sapere alla Lega di voler essere sostituito, Salvini me l'ha chiesto e io ho accettato. Faccio questo lavoro, vado avanti e combatto a schiena dritta senza essere parlamentare».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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