Il pm che fa politica e l'esempio degli Usa

I casi Toti e Salvini

Foto di repertorio
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«Applicazione della pena su richiesta delle parti»: la definizione tecnica del patteggiamento indica un accordo tra accusa e difesa - nel quale si quantifica una condanna - che dovrà poi essere ratificato dal giudice. L'accusato rinuncia a difendersi nel pubblico dibattimento, davanti a un giudice terzo e imparziale, in cambio di una riduzione della pena. Il primo toglie così le castagne dal fuoco al pm, specie nei processi in cui provarne la colpevolezza si palesi impresa ardua per il magistrato, con il rischio di un'assoluzione e, nei casi mediatici, di una pessima figura; il beneficio della pena ridotta è una scorciatoia che l'imputato percorre per evitare un estenuante e costoso giudizio; nelle scorciatoie c'è sempre un prezzo da pagare: in questo caso, è la rinuncia alle proprie tesi difensive, a contraddire l'accusa, a giocarsi le possibilità di uscirne prosciolto.

Lo spettatore delle serie tv crime Usa è affascinato dagli scontri in aula - davanti alla giuria popolare - tra il procuratore distrettuale (lontano parente del nostro pm) e l'avvocato difensore; ignora però che questo spettacolare rito, intriso di garanzie per l'imputato, si celebra eccezionalmente; su cento indagini aperte, l'ufficio dell'accusa ne chiude circa novanta con il patteggiamento. Oltreoceano il capo della procura distrettuale è elettivo; a fine mandato si presenta ai cittadini illustrando come ha impiegato i proventi delle loro tasse nella lotta al crimine: «Ho perseguito questi reati (piuttosto che altri), ho ottenuto tot condanne, ho chiuso tot patteggiamenti; sulla base di questi miei successi, vi chiedo di eleggermi sindaco». A grandi poteri, grandi responsabilità.

La differenza con l'Italia è siderale; il nostro pm è un magistrato (come il suo collega giudice), accede alla professione con un concorso, esercita - di fatto - un'ampia discrezionalità nel decidere chi indagare e per quali reati, non risponde a nessuna delle sue scelte. Nei casi che contano - come quello dell'ex governatore ligure - l'indagine del pm, amplificata dai media, può trasformarsi in una sorta di sentenza anticipata di colpevolezza, senza attendere la celebrazione del processo. In tale contesto possono quindi insinuarsi le offerte di patteggiamento da parte dell'accusa che punta al risultato immediato. Se poi l'indagato, come spesso accade, è privato della libertà personale, la pressione nei suoi confronti è fortissima. Il che non significa irresistibile. Ci sono stati amministratori locali che patirono detenzioni più pesanti di quella di Giovanni Toti (nella foto) e, per accuse similari, scelsero di attendere i lunghi tempi della giustizia; alla fine, vennero assolti. Trattasi, appunto, di determinazioni personali. Le quali, una volta compiute, non si prestano più a puntualizzazioni e ricami da parte dell'interessato: fermo restando il diritto a considerarsi nel suo intimo innocente, la sentenza di patteggiamento è equiparata - per il codice di rito - a una pronuncia di condanna. Con le elezioni regionali liguri alle porte questo dato incontrovertibile comporta le intuibili conseguenze per gli opposti schieramenti.

Chiosa finale.

Quando un pm con le sue indagini sposa opzioni politiche (richiesta di dimissioni di un presidente di Regione per acconsentire alla revoca di una misura coercitiva - Toti -; incriminazioni di un ex ministro che ha tradotto in atti concreti la linea di un governo - Salvini -), ne deve rendere conto a qualcuno. Gli Usa lo insegnano. La parola passi al nostro legislatore (costituzionale).

*Ordinario di Procedura penale nell'Università di Brescia

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