Se governare è un reato

Governare equivale a delinquere: l'opinione della Procura di Genova sembra questa. Se questa dovesse prevalere in Italia si riproporrebbe un problema democratico

Se governare è un reato
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Governare equivale a delinquere: l'opinione della Procura di Genova sembra questa, e neanche troppo stiracchiata: se questa dovesse prevalere (se i vicini d'ufficio dei pm, ossia i giudici delle indagini preliminari, dovessero appoggiarla) in Italia si riproporrebbe un problema democratico che ci riporterebbe ai tempi di Mani pulite, quando il primato della politica elettiva fu usurpato dalla famigerata supplenza della Magistratura.

Il problema è che i designati di ruolo questa volta erano al loro posto, però i supplenti sono arrivati lo stesso: con le manette. Del caso di Giuseppe Toti ormai si sa tutto, anche perché c'è poco da sapere: ma la Procura di Genova vuole mantenere agli arresti il presidente della Liguria perché le piace così, altra spiegazione non è disponibile. La pubblica accusa, o meglio due pm su circa 2250 che ce ne sono in Italia, vuole continuare ad escludere una carica elettiva che per categoria è la seconda dello Stato (prima dei presidenti della Cassazione e del Consiglio di Stato, prima del Capo di stato maggiore) dopo che in Liguria ha preso 383mila preferenze in rappresentanza del 56 per cento dei votanti: perché se fosse rimessa in libertà, questa carica, secondo i pm, potrebbe inquinare le prove o ripetere il «reato», questo proprio per via della carica stessa, quella eletta: questo, Toti, semplicemente governando. Il detenuto, dicono i pm, non si è ancora dimesso da Presidente della Liguria e, nell'inchiesta che lo riguarda, e non sono ancora stati sentiti tutti i testimoni, tipo quelli che ieri sera sono stati riascoltati tanto per raschiare il barile istruttorio: ma se non li hanno ascoltati bensì solo intercettati, in quattro anni, sono affaracci della Procura, mentre le pretese dimissioni da una carica elettiva, più chiaramente, urtano contro i più elementari principi democratici e contro l'articolo 27 comma II della Costituzione, quello che vieta di trattare un imputato come un colpevole. In altre parole, ci sono dei pubblici ministeri per dirla con un vecchio adagio - che formulano un'ipotesi per cercare la verità, ma finiscono per cercare solo la verità della loro ipotesi.

Toti deve dimettersi, e allora verrà liberato: altre spiegazioni non se ne vedono. Le altre ragioni che potrebbero giustificare l'arresto, come sanno ormai anche i bambini, sono il pericolo di fuga (ridicolo: l'inchiesta prosegue da quattro anni e il Governatore è sempre rimasto al suo posto) e poi ci sarebbe il rischio di inquinamento delle prove (ancor più ridicolo: nei citati quattro anni i pm hanno intercettato mezzo mondo e, dall'8 maggio, hanno perquisito e interrogato l'altra metà) sicché rimaneva solo la «reiterazione del reato», e neanche tutta: solo il presunto voto di scambio, che secondo la Procura poteva ripetersi con le Elezioni Europee, anche se Toti non era candidato. Bene, sono finite anche le Europee: dunque? Dunque restano solo le dimissioni: non come requisito per liberarlo, ma come obiettivo nell'imprigionarlo.

Non è un ragionamento semplicistico, non c'è da temere qualche retroscena recondito che non sia stato reso noto (prove schiaccianti, testi a sorpresa) né da avere soggezione del moloch interpretativo della legge: è tutto abbastanza semplice, le carte e le intercettazioni sono disponibili (grazie al consueto colabrodo istruttorio) e lo sanno anche i bambini, ormai, che la custodia cautelare durante le indagini preliminari dovrebbe essere una «extrema ratio», intesa come rimedio estremo, eccezionale, ultima possibile soluzione dopo che è stata tentata ogni altra via; lo sanno tutti che in Italia però c'è una tendenza all'impiego strabordante degli arresti per anticipare una pena che spesso non ci sarà, come meglio di tutti sa l'Ufficio del Tesoro che ogni anno paga fior di indennizzi per le ingiuste detenzioni.

Non è più il re a essere nudo, in Italia: è il pubblico ministero.

Quello secondo il quale, in Italia, circolava un individuo «socialmente pericoloso» (colui che potrebbe «reiterare il reato», anche se non si sa ancora se esista, il reato) di nome Giovanni Toti, incredibilmente libero e presidente della Liguria addirittura dall'11 giugno del 2015, intercettato da quattro anni, imprigionato da più di un mese, ostaggio dell'opinione dei funzionari pubblici meglio pagati del Paese.

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