Manganelli: Italia nel mirino di cellule legate ad Al Qaida

Il capo della polizia: «Offensiva salafita dal Nord Africa. I gruppi di Perugia ricordano quelli di Londra»

da Roma

Per Antonio Manganelli, il nuovo capo della Polizia, il rischio terrorismo internazionale c’è ed è alto. Un pericolo che arriva dalle cellule salafite e dal «sistema» terrorismo, che non è certo un’organizzazione strutturata tipo Cosa Nostra, ma un «sistema operativo» che mette insieme «il terrorismo fai da te» nei vari paesi e opera in una sorta di «franchising» con il marchio Al Quaida.
Un sistema che ormai da parecchi mesi si va organizzando soprattutto nel Maghreb, e che nasce da militanti algerini del disciolto «gruppo salafita per la predicazione e il combattimento». La nascita di questi gruppi renderebbe più facile «una particolare attenzione al nostro Paese, da tempo oggetto di invettive». Il caso Perugia conferma il pericolo, visto che i gruppi scoperti avevano lo stesso modo di operare di quelli che hanno colpito Londra. Con una lunga e articolata relazione alla commissione Affari Costituzionali, presieduta da Luciano Violante, che ha da tempo iniziato un’indagine conoscitiva sulla sicurezza, il capo della Polizia ha fornito un quadro quanto più preciso possibile sul terrorismo internazionale e su quello italiano, sulla mafia e sull’immigrazione, e ha esposto le gravi condizioni economiche in cui versa l’intero sistema sicurezza.
«Il 50% delle auto con le insegne della polizia di Stato sono «spremute», hanno cioè più di 7 anni di vita; non si riescono a pagare gli affitti dei vari uffici» ha elencato, ricordando come la chiusura di alcune scuole di formazione di Pubblica Sicurezza ha portato un risparmio di 15 milioni. Problematico garantire il turn over, sia per la Polizia che per l’Arma dei Carabinieri: «I nuovi fondi - i 35 milioni assicurati dai Comuni nell’ambito dei Patti per la sicurezza, i 42 milioni a disposizione del dipartimento o gli 80 da dividere tra noi, i Carabinieri e la Guardia di finanza - sono boccate d’ossigeno che però non permettono di ripianare il debito».
Non c’è solo il pericolo salafita: anche il terrorismo di casa nostra continua ad essere una minaccia. «Non so dire se le Br siano state sconfitte, di certo sono state disarticolate. Guai però a considerare chiuso il capitolo - avverte Manganelli -. C’è stata una riduzione dell’offensiva degli anarco-insurrezionalisti, ma esiste un manifesto programmatico con progetti bellicosi e si parla di pareri favorevoli alla propaganda armata. Tutto questo non ci lascia tranquilli». Senza tralasciare la «diffusa solidarietà verso gli arrestati, fenomeno non solo italiano ma anche europeo, dovuta probabilmente al fatto che i temi affrontati dagli anarco-insurrezionalisti sono quelli del precariato e dell’occupazione che la gente sente come propri».
Per quanto riguarda l’immigrazione, spiega il capo della Polizia che quest’anno gli sbarchi sono stati quasi la metà dello scorso anno, ma che c’è un dato nuovo: «Gli sbarchi in Sardegna provenienti dall’Algeria. Si tratta di un fenomeno che va indagato: dicono infatti che in Algeria non si stia male, non si faccia la fame».
Particolare attenzione poi alla mafia siciliana, con il ritorno degli «scappati», i boss espulsi dalle cosche che erano andati in America per evitare il massacro.

Quello che insospettisce Manganelli, in linea con il presidente della Dna Pietro Grasso, è che siano ritornati con il permesso dei cosiddetti vincenti che ancora resistono sul territorio: «Sono possibili nuove scintille anche se la mafia continua a preferire il basso profilo e il silenzio».

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