Per mangiare e per piacere ovvero le ricette dell’erotismo

Torna in libreria «I balsami di Venere» di Piero Camporesi: la cucina afrodisiaca fra streghe medievali e intrugli barocchi

Polvere di teca cranica, mumia (carne umana rinsecchita), smegma prepuziale, latte di donna. Nel Quattrocento si riteneva che la salute potesse trarre giovamento dall’autofagia. Come confermava Ulisse Aldrovandi, «Homo omini salus». Ma se pensiamo a una particolare funzione del corpo umano, quella attinente a Eros, prevaleva la ricerca dell’esotico sia nel Medioevo, sia nei successivi evi. Non mancano ricette nostrane, come quella con cui nella Clizia di Machiavelli, Nicomaco si preparava all’amore: «Io pigliarò una presa d’uno lattovaro che si chiama satirionne... che farebbe quanto a quella faccenda, ringiovanire un uomo di novanta anni, non che di settanta, come ho io. Preso questo lattovaro, io cenerò poche cose ma tutte sustanzevole. In prima una insalata di cipolle cotte; dipoi una mistura di fave e spezierie... Queste cipolle, fave e spezierie, perché sono calde e ventose, farebbero fare vela a una caracca genovese».
Dobbiamo alla vena del grandissimo Piero Camporesi, scomparso dieci anni fa, lo straordinario libro che s’intitola I balsami di Venere, finito fuori catalogo. Garzanti lo ha ristampato (pagg. 128, euro 7,75) dopo avere riproposto Le vie del latte. E sono solo le prime portate di una più lunga serie che dovrebbe placare l’astinenza di testi ormai introvabili. Dotto italianista (insegnava letteratura a Bologna) Camporesi dispiegò la propria vena narrativa come antropologo e storico del cibo pescando negli archivi con la passione del filologo e dello scrittore di grande inventiva linguistica libri sepolti e dimenticati.
Nei vari periodi storici presi in considerazione variava la valenza attribuita alla passione amorosa, anche se in misura minore di quanto si potrebbe credere. Dunque erano previste anche ricette per far passare l’ardore, conservare la verginità delle donzelle. Si consigliavano bagni freddi, camminare a piedi scalzi, uso moderato del cavallo, infusi di radice di ninfea o seme di lattuga, pillole di canfora. Proibite invece «ostreche», «granchi fluviali», «ocelli piccoli», «ceceri», in particolare quelli rossi che si davano agli stalloni, come è spiegato nel Novo Thesauro delle tre castità e nel Libro della natura et virtù delle cose che nutriscono.
Il capitolo alchemico è tra i più fertili nell’ausilio di Venere. Gelatine ricavate da pollame nutrito con vipere, o dal membro del cervo non lavato e bollito, clisteri di brodo di testa di capra, polvere di testicoli di toro... E ovviamente la scoperta del Nuovo Mondo scatena la fantasia stregonesca della chimica barocca. Ma è solo con l’illuminismo che uccide la «donna strega» che davvero ci si libera dei pregiudizi medievali contro la sessualità femminile e si acquisisce Venere al rango che le spetta.
Se Camporesi ci regala a piene mani la felicità filologica e narrativa delle stramberie antiche, alla fine ci tende una trappola, o meglio una mano.

Se vi sono sembrati ridicoli i vostri avi e i loro afrodisiaci, pensate agli intrugli moderni, alle creme di bellezza coi loro ingredienti assurdi, ai Viagra, Cialis e Levitra, alla grande industria del desiderio e dell’illusione che manca, oggi, di una visione filosofica, della poesia del pensiero cosmogonico sottostante che nel passato era l’ingrediente principale, il placebo più eccitante.

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