"Il mare dei poeti" è l'ultima spiaggia dell'immaginazione al potere (e viceversa)

Castelporziano, 1979: l'esordio del giovanissimo traduttore Raoul Precht

"Il mare dei poeti" è l'ultima spiaggia dell'immaginazione al potere (e viceversa)
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In Libro dell'acqua di Limonov, rassegna di laghi, fiumi, mari, fontane, stagni e pozzi in cui il poeta e attivista russo si è bagnato, si racconta di un viaggio sul trenino che conduce da Roma a Ostia. Limonov fu colpito dal pappagallismo dei passeggeri, incapaci di staccare gli occhi dalle gambe della modella che lo accompagnava.

Come ricordato ne Il mare dei poeti (Biblioteca Bordeaux, pagg. 143, euro 16), nel giugno del 1979 anche Raoul Precht, allora alunno diciottenne della scuola tedesca, compie lo stesso percorso sullo stesso trenino, ma a differenza di Limonov ha una missione: il suo professore lo ha inviato sulla spiaggia di Castelporziano dove l'assessore alla cultura Nicolini ha organizzato, si fa per dire, un festival internazionale di poesia che durerà tre giorni. Sul grande palco a dieci metri dal Tirreno, decine di poeti leggeranno i loro componimenti; Precht deve tradurre quelli di quattro semisconosciuti, due tedeschi e due austriaci, che rischiano di fare la fine dei vasi di coccio fra vasi di ferro visto che al centro della kermesse c'è il Gotha della versificazione romana (Dario Bellezza, Elio Pecora, Valentino Zeichen, Amelia Rosselli) nonché figure internazionali notissime quali Evtuenko, Ginsberg, Bukowski, Burroughs. Rintracciati i quattro nei dintorni dell'albergo Enalc, Precht fa la conoscenza di personalità oggi in parte dimenticate, ma allora quasi celebri o almeno ricche di futuro. A cominciare dalla stella in ascesa Erich Fried, passato traumatico e presente roseo. «Fuggito in Inghilterra dopo che del padre, condotto via dai nazisti per un interrogatorio, gli era stato restituito solo il cadavere», ha appena pubblicato una silloge di poesie d'amore diventata un best seller che aveva conquistato il Papa della critica letteraria tedesca, Marcel Reich-Ranicki. In calzoncini corti color kaki, Fried offre un bel contrasto con l'intraducibile Gerald Bisinger, che invece è «elegantissimo», predilige «la grappa e le acquaviti» e si identifica con Ovidio a Costanza tanto da avere con sé il libriccino fresco di stampa Poema ex Ponto, dedicato al poeta esiliato. Vista l'epoca, non poteva mancare un cantore politico, Volker von Toerne, gentilissimo con tutti, anche con il rimatore stalinista, «megafono del regime bolso e rigido», che affiancava Evtuenko. Chiude il gruppo, con molta bohème, Johannes Schenk: cresciuto in un paese della Bassa Sassonia, a 14 anni scappa e si imbarca come mozzo. Divenuto marinaio provetto, adatta una scialuppa di salvataggio a imbarcazione da diporto e si dirige verso i mari del Sud. Con i capelli bianchi tornerà a vivere nella natìa Worpswede, in un carrozzone da circo. Precht si impegna a tradurre il suo Trattoria da Dante; non il ghibellin fuggiasco, Dante l'oste veneziano che gestisce una trattoria per poveri a Cannaregio...

Alla fine, miracolosamente, andrà tutto bene: i quattro leggeranno le loro strofe a un pubblico mesmerizzato più dal mare, dalla fame e dalle canne che dai versi immortali dei convenuti.

Qualcosa a metà strada fra il dileggio del primo giorno, quando sul palco, persino sull'inerme Amelia Rosselli o sulla scandalizzata Dacia Maraini, volava di tutto, dai pomodori alle bottiglie vuote di birra, e il terzo, dominato dalle vecchie volpi cresciute a pane e poetry readings, i Ginsberg e gli Evtuenko, che invece riuscirono a catturare l'attenzione delle migliaia di scalmanati accorsi per assistere, più o meno consapevolmente, alla fine di un'epoca: quella dell'immaginazione al potere o piuttosto del potere immaginario.

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