Per il Presidente del Consiglio, la questione doveva chiudersi con una bonaria sconfessione di Mussi: il ministro ha sbagliato, eccedendo in iniziative personali, ma ormai cosa volete farci? Il ritiro della firma italiana dalla Dichiarazione etica, che bloccava i finanziamenti europei ai progetti di ricerca che implicassero la distruzione di embrioni umani, doveva passare senza troppe difficoltà. Certo, si poteva immaginare che ci sarebbe stato qualche disagio tra i cattolici del centrosinistra, ma la velocità della manovra avrebbe anestetizzato le sensibilità: un ritiro con destrezza, di cui a malapena gli italiani si sarebbero accorti. Sconsolato ma impotente, Prodi avrebbe richiamato i ministri alla collegialità e alla prudenza, suggerendo che ormai tornare indietro fosse impossibile.
Le cose sono andate diversamente. Il centrodestra si è impuntato, il mondo cattolico ha mandato segnali di allarme, e le reazioni, invece di affievolirsi fino a spegnersi, si sono moltiplicate. Quel che è peggio, se davvero la maggioranza è contraria al ritiro della firma, ha ancora il modo per dimostrarlo. Fino al 20 giugno, data in cui si riunisce il Consiglio europeo, la situazione resta aperta, e Prodi, se vuole, può tornare indietro.
Il ministro Mussi ha tentato di offrire motivazioni libertarie al proprio gesto, affermando che non sarebbe giusto impedire ad altri Paesi di effettuare sperimentazioni sulle cellule staminali embrionali, solo perché in Italia sono vietate. Ma la Dichiarazione etica lascia agli Stati europei tutta la libertà di svolgere ogni tipo di ricerca, purché con fondi propri. Il problema va rovesciato: non è sicuramente giusto che l'Italia contribuisca a finanziare una ricerca che non può fare, e che, come si è visto dall'esito del referendum, solo il 20% degli elettori approva. Di fronte alle accuse di unilateralismo, Mussi ha tirato in ballo Letizia Moratti, la quale «quando ha firmato quella dichiarazione non ha convocato nessuno. Pensavo di poter usare lo stesso criterio ritirando la firma». Mussi sembra dimenticare che la Moratti ha agito in conformità con la legge italiana e con il voto referendario. Ritirando la firma il nuovo ministro era perfettamente cosciente di scavalcare la volontà popolare e di mettere il proprio Paese in una posizione falsa: più che di unilateralismo si è trattato di arroganza.
Oggi, pur confermando la validità della propria decisione, Mussi si difende sostenendo che si è trovato di fronte a un dilemma che ha dovuto affrontare in pochi minuti. Ma chi gli ha chiesto di affrontarlo? Perché tutta questa urgenza etica, e questa fretta politica? Togliere la firma è stato un atto volontario e meditato, forse concordato in anticipo con altre forze della maggioranza.
Il primo, clamoroso risultato della scelta del ministro sarà la spaccatura che si produrrà nel Parlamento europeo il 15 giugno, quando si dovrà votare su come indirizzare i fondi per la ricerca: il blocco preventivo dei finanziamenti alle sperimentazioni sugli embrioni avrebbe evitato che la questione etica investisse direttamente il Parlamento, provocando polemiche e divisioni, anche all'interno dei diversi gruppi.
Ma all'inutile fretta di Mussi si può tranquillamente rimediare, prima che, come ha ventilato il vicepresidente del Parlamento europeo, Mario Mauro, gli italiani scelgano la disobbedienza fiscale. Prodi, lo ripetiamo, può ancora farlo, se vuole.
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