Il Maroni di lotta e di governo al centro di un tiro incrociato

Il ministro è bersagliato tra l’Ue che fa la "bella addormentata", i malumori della base leghista e la sinistra all’assalto. Ma non ha mai pensato di dimettersi. In Lussemburgo domani il Viminale chiederà sorveglianza delle coste e rimpatri

Il Maroni di lotta e di governo al centro di un tiro incrociato

Roma - Da una parte l’Europa, che si permette di fare «la bella addormentata», dall’altra il fronte interno, con la sinistra pronta a speculare sul caos sbarchi e poi i voli pindarici di certi alleati e ministri, iper-atlantisti senza paracadute. In mezzo c’è la Lega, ma soprattutto il suo ministro, Bobo Maroni, alle prese col momento più delicato del suo mandato al Viminale. Alle dimissioni non ha mai pensato veramente, perché - spiega l’inner circle di Maroni - «è un ministro del governo Berlusconi ma prima ancora un leghista, e quindi soltanto un contrasto con Bossi lo porterebbe a pensare un gesto di extrema ratio, ma con il capo è sulla stessa lunghezza d’onda, anche Maroni dice foeura di ball, ma sono i clandestini, non i profughi, che vanno gestiti». In via Bellerio, dove Maroni si è riunito con Bossi e Calderoli venerdì, subito dopo l’incontro con il suo omologo francese, si sono fissati i capisaldi della posizione leghista, incardinata nell’azione del ministro dell’Interno. «La situazione è complicata ma non certo per colpa nostra o del governo» si sono detti i capi leghisti, puntando alle responsabilità dell’Europa che, ha detto Maroni, «non può fare la bella addormentata». «Noi abbiamo avuto la stessa posizione fin dall’inizio, è la Francia che ha cambiato idea» ha spiegato il ministro, riferendosi alla posizione francese circa l’ingresso sul suo territorio degli immigrati a cui è stato dato un permesso di soggiorno provvisorio. Secondo Schengen la Francia non può respingerli, «e il ministro francese ha convenuto con noi su questo» ha illustrato Maroni a Bossi. I leghisti sono convinti che le ambiguità francesi abbiano una spiegazione puramente elettorale per il partito di Sarkozy, messo in difficoltà dalla destra dura di Marine Le Pen. «Devono fare la faccia cattiva, ma ci sono delle regole da rispettare» ha detto Maroni. Ma l’80% dei nordafricani che arrivano qui, ha spiegato il ministro anche al suo omologo francese, dicono di volersi ricongiungere con i loro familiari in Francia, non in Italia. Quindi, problema italiano ma anche francese ed europeo. Il punto si farà domani, a Lussemburgo, con il vertice dei ministri degli Interni. Maroni andrà a chiedere due cose: rimpatri e pattugliamento europeo delle coste tunisine.
L’urgenza di Maroni è quella di uscire dall’angolo. C’è irritazione per l’atteggiamento della sinistra, che rimprovera al centrodestra e alla Lega «l’invasione», quando in passato ha regolarizzato con sanatorie e permessi milioni di clandestini. Poi c’è un altro fronte, quello dei malumori della base, a cui spesso è difficile far capire i compiti della Lega di governo. «Abbiamo detto che i profughi non sono i clandestini, ma qualcuno ci sta ricamando su» dicono i vertici leghisti, sospettando anche qualche manovra di sabotaggio interno. Ma c’è anche qualche malcontento verso il governo, e per lo «show» del premier a Lampedusa, che ha dato per risolto il problema dell’isola prima di trovare un accordo con la Tunisia, dossier curato dal ministro leghista. Qui c’è un episodio che racconta bene il rapporto tra Maroni e il Cavaliere nel contesto della crisi nordafricana. All’inizio della settimana il ministro è andato a Tunisi insieme al premier, poi il giorno successivo è tornato, ma da solo. Una volta lì si è trovato davanti ad un cambio inaspettato del governo tunisino, che a differenza di quanto concordato il giorno precedente, proponeva una condizione inaccettabile: che agli immigrati fosse chiesto se volessero tornare indietro o rimanere in Europa. A quel punto Maroni ha chiamato Berlusconi per chiedere un immediato intervento sul governo tunisino, dicendogli più o meno: «Silvio, o li convinci a ritirare questo punto oppure mollo tutto e torno a Roma, e poi vediamo cosa succede».

Poi la cosa si è risolta, ma è rimasta la sensazione che il premier sia in altre faccende affaccendato, e che il cerino sia stato lasciato a Maroni. Troppo poco per mettere in crisi il rapporto Pdl-Lega, ma abbastanza per complicare la primavera di Bobo.

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