Sarà forse il tempo invernale ma, a vederla così alla televisione, la sfilata si snoda per Genova in un cupissimo corteo di anime in pena. Una corte dei miracoli dove i più giovani sono intenti a danze o travestimenti ostentati, e perciò poco divertenti o divertiti. Mentre i sessantenni paiono anzitutto oppressi dalla nostalgia delle loro rivolte, per la fortuna di tutti, fallite. Né mancano le stanche passionarie di qualche rivolta lesbica, o gli ecologisti persuasi che solo la dieta possa salvargli l'anima. Sorvegliati da altri che agitano le bandiere con impresso sopra quel guerriero finto, ma fotogenico, che fu Che Guevara. E poi immigrati in ansia per tutti i Lumumba del mondo, e di Perugia. Comunque hanno un apparire più civilizzato di altri giovinetti bianchi ma inanellati, seppure non distanti da comunisti trotskisti in alacre diffusione.
Insomma sfila tutto un confuso esito di angustie mal digerite e pensieri confusi. Eppure a vederli nei meandri delle salite di Genova così tristi, esiti loro stessi di anni troppo veloci per noi tutti, si è costretti a pensarci. A cercare di capire quali fini mai si propongano, per rimediare ai guai indubbi di quest'epoca, e dare forma alle loro manie. Ma, per quanto ci si applichi, l'impresa è troppo impervia: non si riesce a capirlo.
Finché si tratta di guardare indietro e inventarsi degli eroi, e quindi dei martiri, sempre precari ma necessari a surrogare la usura di quelli precedenti, certo tutto torna. Tuttavia appunto si tratta ogni volta di commemorazioni, d'un recriminare accuse colle quali si vive di rendita. Ma le varie idee di costoro, restano mal combinabili, e le loro idee post marxiste sono piuttosto confuse. Il marxismo almeno si capiva: affidava alla classe operaia la emancipazione del mondo. E, seppure il risultato fu una delle più perniciose forme di dispotismo orientale della storia del mondo, aveva una sua coerenza, per quanto rovinosa. Invece in questa corte dei miracoli, c'è troppo di tutto: smanie erotiche collettive, cosmopolitismi a oltranza, protesta salariale, teorie della non crescita, anarchismi nutriti di nervose invidie di periferia, il solito marxismo noioso, fedi totali in internet, terzomondismo, manie pauperiste, richieste di sussidi. Un caos non facile da combinarsi.
Come è infatti possibile prendere le parti dell'agricoltura del Terzo mondo e criticare la Ue, ma al contempo difendere un'agricoltura biologica che non vivrebbe senza la protezione europea? E come si accorda la decrescita delle economie, con salari più alti che implicano invece un aumento di produttività. E la mania poi di assecondare la immigrazione più selvaggia? Ma non era stato proprio Marx invece a dire che l'allargarsi di un esercito industriale di riserva è il più potente impulso a tener bassi i salari. E come si fa a fare gli ecologisti e però ad affollare con sempre più immigrati una nazione già sovraffollata come la nostra?
Sono le palesi antinomie che la massa peregrinante a Genova lascia irrisolte. È paga di dirsi contro la globalizzazione, brilla nell'invenzione di argomenti di dissenso. Ma non si riunisce in un tutto omogeneo di idee. Vive solo di sentimenti di sdegno, che per essere tali com'è noto hanno sempre ragione, e perciò muovono a fare così spesso delle sciocchezze. Né i teorici più squisiti di questi movimenti come il professor Negri risolvono l'inconcludenza generale. Il suo concetto di moltitudine è una retorica inetta, buona a stupire le riviste snob ma inutile; anzi nociva. Affida il comunismo promesso da Marx, in cui poco si lavora e molto si gode, non al lavoro ma al dissenso e agli slanci dei reietti del mondo. Idea che ha forse il suo fascino mistico, ma peggiora i destini di giovani che si educano così intanto solo a divenire falliti. E bramano e vivono quindi delle prebende del volontariato e dei centri sociali, di posti inventati, biglietti gratis, concerti e delle prebende delle giunte di sinistra, parassiti del governo biasimato. E dire che il comunitarismo, le idee libertarie avrebbero un loro sano futuro.
Geminello Alvi
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