«Resto sbalordito quando sento invocare un anatema o una scomunica della Chiesa su Berlusconi per le ben note vicende». Vittorio Messori, scrittore cattolico autore di best-seller sulla storicità dei Vangeli, del libro intervista a Giovanni Paolo II (Varcare le soglie della speranza) e prima di un dialogo con l’allora cardinale Ratzinger che ha segnato un’epoca (Rapporto sulla fede), si dice «allergico» a ogni moralismo e a ogni confusione.
C’è chi vorrebbe una parola chiara di condanna della Chiesa per l’immoralità del Cavaliere…
«Siamo alle solite, cioè alla solita confusione. La parola Chiesa esprime un duplice significato, si intende sia la custode e la dispensatrice dei sacramenti, sia l’istituzione che vive nella storia; ha al contempo degli austeri direttori spirituali e confessori, e degli abili e pragmatici diplomatici. Tra Vaticano e il governo italiano ci sono relazioni tra Stato e Stato. Il Papa si affida a colui che non a caso è chiamato Segretario di Stato, il quale è certamente un ottimo prete ma nel trattare con il governo non fa il confessore o il direttore spirituale».
Qualcuno ci sarà che deve fare la predica a Berlusconi. Chi?
«Il suo confessore, se ne ha uno. Un religioso in cura d’anime. Ma non certo la Santa Sede. Mi permetto di far notare la contraddizione: proprio quelli che sono sempre pronti a denunciare l’intrusione vaticana nella politica italiana, sarebbero pronti ad applaudire che la Chiesa mettesse il naso nella moralità privata del presidente del Consiglio».
Lei, Messori, non si scandalizza per ciò che è accaduto ed è uscito sui giornali?
«Cerco di guardare quanto accade con realismo. E ricordo quella massima degli impareggiabili moralisti gesuiti che recitava: nisi caste, tamen caute, se non riesci a vivere castamente almeno sii cauto. Si applica benissimo proprio agli uomini con incarichi pubblici. Lo stesso cardinale Bagnasco, presidente della Cei, aveva detto di recente che a ogni ruolo pubblico devono corrispondere atteggiamenti e sobrietà adeguate. Dunque il mio giudizio è, direi, di opportunità politica: la Chiesa non è autorizzata a lanciare anatemi contro un capo di Stato per la sua moralità privata, però ciascuno deve avere un decoro adeguato al ruolo che ricopre, cosciente del danno d’immagine che certe vicende possono provocare al Paese».
Può fare degli esempi guardando alla storia?
«Penso a due grandi ministri del re di Francia, entrambi cardinali: Richelieu e Mazzarino. Entrambi chiacchieratissimi. Di Mazzarino si diceva che fosse l’amante della regina. Avevano entrambi un ruolo politico, e la Chiesa non ha mai detto nulla sulla loro moralità, li ha giudicati nei loro atti politici. C’è poi Enrico VIII, una sorta di sessuomane fin da quando era ragazzo, sciupafemmine inveterato che faceva strage di suddite. La Chiesa lo proclamò defensor fidei perché si oppose alla Riforma. E quel titolo è rimasto ancora oggi ai re d’Inghilterra. Poi volle sposare Anna Bolena e pretendeva la nullità del precedente matrimonio e, come si sa, il rapporto con Roma si ruppe. Però, fino a quel momento, la sua immoralità privata non contrastava con quel titolo così importante e altisonante…».
Ammetterà che siamo un po’ indietro con gli anni. Un po’ di cose son cambiate da allora…
«Posso citare anche casi più recenti. Ad esempio il presidente argentino Juan Domingo Perón, cattolicissimo, che recitava il rosario in pubblico, ma anche lui donnaiolo. A un certo punto ebbe problemi con la Chiesa del suo Paese, ma non per la sua vita privata, per questioni politiche. E non dimentichiamoci di quell’Edoardo VIII dell’epoca moderna che fu il primo presidente cattolico degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy, il quale, nonostante il debole per le belle donne – Marilyn insegna – ebbe sempre rapporti eccellenti con la Chiesa americana».
C’è chi dice: meglio un politico disordinato nella vita privata ma che fa buone leggi, piuttosto che un politico irreprensibile nel privato che fa leggi contro i «principi non negoziabili ». Che cosa ne pensa?
«Preferirei un politico dalla vita privata irreprensibile che fa buone leggi. Detto questo, ricordo che il peccato che più fa adirare Gesù nei Vangeli è l’ipocrisia, vale a dire il presentarsi come ossequiosi e morali, ma poi avere una vita privata che va da tutt’altra parte.
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