In 15 sul bus: gli sputi e le minacce all'autista

Maria Teresa Santaguida

Non è andato in ospedale, non ce n'era bisogno. Ma l'umiliazione subita è forse ancora più grave, la si legge nei suoi occhi. «Devo andare in bagno, devo lavarmi» ripete, mentre con le tre dita di una mano governa l'apertura delle porte del suo bus e con l'altra tiene il volante, tutto insozzato.

È una serata piovigginosa, da poco è passata la mezzanotte e l'autobus percorre via Pagano, sfreccia fra le ville di lusso. Uno dei quartieri più tranquilli, residenziali e ricchi della città, dove ogni isolato più o meno corrisponde a una singola abitazione con giardini e alberi. Non si tratta di via Padova né di una zona degradata. No: qui siamo nella Milano bene ed è un venerdì sera di ristoranti aperti, ragazze sorridenti, passeggiate in compagnia. Alla fermata, intanto, qualcuno aspetta il bus che collega la linea 1 del metrò con il quartiere sudovest (Washington-Solari): i minuti di attesa, stando allo schermo, sono 4; poi, accanto al numero del bus, la 61, il nulla. Fino a quando, 15 minuti dopo, la vettura arriva, in ritardo e semivuota. Pochi passeggeri salgono, infastiditi per l'attesa, ma qualcosa non va. È in quegli 11 minuti che l'autista - racconterà - ha scampato un'aggressione fisica «che poteva finire peggio», senza però risparmiarsi un brutto momento di paura.

Sul vetro che separa la sua postazione dal corridoio ci sono evidenti e numerose tracce di sputi: la saliva cola ancora. «È tutto a posto?». No. «Non si avvicini signorina, guardi: è pieno di sputi. Sono saliti in 15, erano marocchini, egiziani...» racconta (...)

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