Giù la maschera! La manifestazione No Pass di sabato, il quindicesimo consecutivo, ha dimostrato qual è il vero scopo di questi cortei. Difficile sostenere che i cittadini scendano in strada ogni settimana per manifestare il proprio dissenso contro il provvedimento del governo, quanto piuttosto per dar fastidio ai propri concittadini, impedire ai commercianti di svolgere le proprie attività e quindi lavorare, e ai milanesi girare liberamente per Milano. Il corto circuito che si è creato vede più o meno 5mila manifestanti invocare quella stessa libertà, che per primi non rispettano: aggrediscono i giornalisti, tentano di andare sotto casa del sindaco, minacciato brutalmente settimana scorsa, occupano le strade una volta che la manifestazione è terminata. Ieri il percorso del corteo, per la prima volta, era stato concordato con la Questura, ma non è stato rispettato: arrivati in viale Monte Santo, anziché dirigersi verso i Bastioni di Porta volta come previsto, si sono diretti verso via Galilei, viale della Liberazione e via Melchiorre Gioia. Inutile dire dei disagi al traffico. Di nuovo, una volta sotto la sede della Rai in corso Sempione, meta finale, sono tornati indietro in direzione del Duomo. Ma perché? Non bastano tre ore per far sentire la propria rabbia? C'è bisogno di tenere in scacco al città e mandare in fumo oltre 3,5 milioni di euro di affari mancati ogni sabato? Cosa c'entra con il green pass? E perché allora per gridare il proprio «no» contro un provvedimento definito «liberticida», non basta un presidio fisso? Se non per impedire ai propri concittadini di usufruire della libertà nuovamente conquistata?
«Esiste una parte della società che utilizza momenti particolari e contingenti per manifestare il proprio dissenso, aggregandosi a queste realtà - spiega Stefano Zecchi, filosofo, scrittore, assessore alla Cultura nel 2005 - Credono di avere il diritto di dire qualsiasi cosa, in nome della democrazia. Il problema è che manca il controllo dell'ordine pubblico: si consente di manifestare entro certi limiti, ma se i manifestanti non rispettano regole e percorsi concordati vanno bloccati» conclude Zecchi. In sostanza in nome di un presunto diritto democratico di esprimere il proprio dissenso, qui si dice quello che si vuole: «La comunicazione durante la pandemia ha avuto un vizio di partenza: si crede che chiunque possa parlare e mettere in discussione la parola della scienza, il tema dei vaccini è diventato un talk show, a differenza che negli altri paesi dove la comunicazione è controllata. La democrazia deve difendere il diritto delle persone alla salute, qui, invece, per il gusto di fare polemica si dà la parola a una minoranza di cretini che pensano di poter contrapporre il loro pensiero complottista alla ricerca scientifica». Che fare dunque? Max Weber parlava in democrazia di un'etica dei principi e di un'etica della responsabilità. «Ecco io credo che in questo caso entri in gioco il principio di responsabilità di non far parlare tutti».
Per l'ex sindaco di Milano Gabriele Albertini «non c'è un argomento vero di libertà, qui si tratta di libero arbitrio perché si può contestare qualsiasi cosa ma dire che la terra è piatta o che la legge di gravità non esiste, così come negare che i vaccini siano un presidio per la salute, mette in luce come per questi manifestanti questo sia solo un pretesto per protestare. Si tratta di una battaglia non guidata dall'ideologia o da una verità scientifica, ma da ribellismo. Una ribellione contro lo Stato, la collettività, la legge, un qualcosa che non sanno spiegare fino in fondo. Un atteggiamento in cui io vedo che una sorta di disadattamento sociale». L'ex sindaco si lancia in un parallelo forte: «I No vax sono, in chiave di farsa, i seguaci delle Br e della violenza marxista leninista». Al di là del merito, c'è anche un aspetto giuridico importante: «Per la nostra Costituzione tutte le opinioni sono accettabili, ma i mezzi sono discriminati e qui ci troviamo di fronte a manifestazioni non autorizzate, illegali, che quindi andrebbero sciolte».
Anche per Carmela Rozza, ex assessore alla Sicurezza del Comune e membro della Commissione sanità della Regione Lombardia
«non esiste una congruenza nella tipologia della battaglia: i No pass sono un'evoluzione del movimento dei forconi, dei no mask, l'impressione è che siano soggetti diversi, capitanati da estremisti, senza un vero obiettivo».
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