All'Hangar Bicocca l'opera "abbagliante" di Cerith Wyn Evans

Mostra dell'artista gallese fino al 23 febbraio Luci e suoni per un lungo viaggio sensoriale

All'Hangar Bicocca l'opera "abbagliante" di Cerith Wyn Evans

Sinestesia è quella particolare figura retorica che indica l'associazione tra due parole che appartengono a due sfere sensoriali diverse: è come un ponte apparentemente impossibile, eppure solidissimo.

Entrare ora al Pirelli Hangar Bicocca significa immergersi nella magnifica sinestesia concepita, grazie all'attenta curatela di Roberta Tenconi e Vicente Todolì, dall'artista Cerith Wyn Evans. ...The Illuminating Gas (ingresso libero, fino al 23 febbraio) si presenta come un'elaborata partitura musicale e visiva: la luce è ora baritonale ora stridula, la musica ora verde ora candida. Una sinestesia, appunto, che coinvolge tutti i sensi e attiva libere associazioni. Va visitata con sguardo curioso e accorta disposizione a stare alle regole del gioco, prestare attenzione a ogni dettaglio: siamo infatti dentro alla più grande esposizione mai realizzata dall'artista gallese, tra i nomi più apprezzati della scena contemporanea. Non difetta Evans del physique du rôle: figura imponente, di scuro vestito (con un kimono nero sull'abito occidentale) e occhiali a specchio, ha inaugurato a Milano la sua personale con proverbiale (e raro) understatement. A chi gli chiedeva commenti e riflessioni sulla mostra, rispondeva disincantato: «Molte opere esposte sono lavori recenti e freschi: devo ancora abituarmi a percepirle, quindi non incalzatemi con troppe interpretazioni». Giusto.

Si accede alla navata e subito ci si lascia sedurre da una narrazione che è visiva e musicale insieme, quasi teatrale: le sette colonne di luce di Star/Star/Star/Steer, opera recentissima, sono fatte dallo scheletro di lampade tubolari e hanno una luminescenza intermittente. Il neon, il gas che si illumina, impalpabile e visibile insieme, è il materiale di cui tutte le sculture sono composte, il vero protagonista della scena. Procediamo nel percorso e l'attenzione è catturata da una installazione che è perfetta armonia tra colore candido e musica, anzi respiro. Con lo sguardo all'insu camminiamo lungo la navata tra le tredici incantevoli Neon Forms (after Noh) appese al soffitto: dialogano con l'installazione più suggestiva (e instagrammata) della mostra. S'intitola Forms in Space...by Light: già concepita un paio d'anni fa per la Tate Britain di Londra, è qui configurata in una nuova, ancor più suggestiva, maniera. Che cosa ci dicono, queste sculture fluttuanti di luce? Strizzano l'occhio a Marcel Duchamp: lo fa esplicitamente il titolo stesso della mostra, che rimanda a quello del diorama, una complessa elaborazione visibile solo dal foro di una porta, che fu di fatto l'ultima opera del maestro del ready-made prima della morte. Anche questi di Evans sono diagrammi ottici che traducono movimenti nello spazio, in particolare quelli del tradizionale teatro giapponese Noh: il rituale di gesti, passi e gesti del ventaglio è molto caro all'artista.

Nulla è lasciato al caso: «Spesso la gente si concentra sui numeri: quanti chilometri di neon? Quanto dura la musica di accompagnamento? Quanto pesa la struttura? Non sono molto interessato a queste questioni», dice. Le cose in realtà stanno diversamente, poiché tutta l'opera di Evans si basa su rigorose proporzioni geometriche, su armonie visive e sonore calibratissime: è un matrix di letteratura, filosofia, fotografia, musica, poesia, astronomia, scienza, cultura occidentale e orientale.

Il percorso si conclude nel grande Cubo, una sala che mozza il fiato dove giganteggia E=C= L= I= P= S= E, monumentale scritta al neon dedicata all'eclissi su diversi continenti, e la strepitosa costellazione di dischi specchianti e di casse sonore direzionali. Una sinestesia perfetta di luce e suono.

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