Vista di giorno, è una scena familiare: i tavolini dei bar all'aperto, e i dehor riscaldati d'inverno dai cosiddetti «funghi», coppie, famiglie e turisti che si godono una bevanda o un piatto a pochi passi dal Duomo. Vista di notte, però, la prospettiva è un'altra. Ben più inquietante. Perché quei «funghi» sono alimentati da bombole a gas, che alla chiusura dei locali vengono ammassate in un sottoscala, o in uno scantinato, o in uno stanzino cieco. Il più delle volte, in ogni caso, in uno spazio non idoneo a stoccare dei dispositivi potenzialmente pericolosi. Il dubbio è venuto al procuratore aggiunto Nicola Cerrato, che ha mandato la polizia locale e i vigili del fuoco a controllare sei bar in pieno centro, lungo corso Vittorio Emanuele. Il risultato è stato a dir poco preoccupante. Irregolarità nel cento per cento dei casi. Tutti e sei i locali, infatti, custodivano le bombole senza alcuna precauzione. Per usare le parole di Cerrato, si tratta di «potenziali bombe». «Bastano pochi chili di gas per causare un'esplosione - spiega il magistrato -. E in caso di incendio si rischia una carneficina».
La Procura, così, ha contestato la violazione del decreto sulla sicurezza dei luoghi di lavoro, e della legge speciale del '71 che disciplina l'utilizzo di impianti a metano o gpl. I vigili del fuoco e la sezione di polizia giudiziaria della polizia locale hanno verificato le infrazioni, comminato una multa ai trasgressori e imposto la messa a norma dei locali. In caso di recidiva - qualora cioè le infrazioni non dovessero essere sanate - i titolari rischiano il sequestro preventivo del locale e l'arresto fino a 2 anni. Si tratta di bar in pieno centro, vista Duomo, grandi e molto frequentati. Uno di questi ha 26 dipendenti, un altro è stato trovato con otto bombole accatastate in una stanza sotterranea. In breve: una situazione a rischio e fuori controllo. Per questo, ora, i controlli verranno estesi su molti di quei locali del capoluogo lombardo - e sono circa un migliaio in tutto - che utilizzano i «funghi».
L'iniziativa, spiega ancora Cerrato, non voleva essere punitiva. «Più che alla repressione teniamo alla prevenzione, a sensibilizzare i commercianti verso il problema». Si tratta, insiste il procuratore aggiunto, di «un fenomeno pericoloso, sottovalutato e tollerato».
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