Crisi, paura e smart working, la città riparte col freno tirato

I turisti non tornano e le aziende prolungano il lavoro da casa. A risentirne soprattutto indotto e commercio

Crisi, paura e smart working, la città riparte col freno tirato

«Siamo a Milano, finalmente!»: due universitari sbucano dalla metro di Missori e gioiscono. Sono del partito di quelli che non vedono l'ora di tornare a vivere la città. Opposto a quello dei fautori dello smart, o south, working a oltranza. Uffici, produzione, commercio, servizi... l'autunno di Milano si gioca tutto sul conteggio delle presenze. I bilanci e le previsioni delle associazioni di categoria non sono confortanti, sia l'economia sia la socialità urbana (almeno diurna) ne risentiranno.

Se nel pubblico il sindaco Giuseppe Sala ha richiamato in sede a partire da settembre la maggior parte dei 15mila dipendenti comunali, nel privato, con servizi e terziario in testa, le percentuali saranno molto più basse. I grattacieli di City Life semi vuoti sono un simbolo. In generale, e almeno fino al 31 dicembre, a non rientrare saranno soprattutto i lavoratori impiegati nei grandi gruppi del settore finanziario come banche, assicurazioni, consulenti. A risentirne è soprattutto il commercio, più in città che nell'hinterland, in particolare il mondo che ruota intorno alla «pausa pranzo». E i bilanci hanno il segno meno, nonostante le tante aperture ad agosto per provare a recuperare terreno. «Il quadro è critico per fatturati e consumi - spiega il segretario generale di Confcommercio Milano, Lodi, Monza Brianza, Marco Barbieri -. Se raffrontiamo il periodo estate 2020 su estate 2019, registriamo un calo del 20 per cento del fatturato nel settore alimentare al dettaglio. Del 40 per cento nel non alimentare, ad esempio l'abbigliamento, e del 70-80 per cento nella ristorazione e nella ricettività. Sono venuti a mancare i pilastri su cui si basa l'economia della metropoli. Prima di tutto il turismo internazionale, di americani, cinesi russi. Una contrazione che riguarda tutte le grandi città, a Milano le stime dicono che avremo 5 milioni di visitatori nel 2020. Nel 2019 sono stati 11. Poi ci sono i lavoratori pendolari, che dal lunedì al venerdì in tempi normali raddoppiavano quasi la popolazione milanese con oltre un milione di ingressi al giorno e che incidono moltissimo sull'indotto. A luglio di quest'anno abbiamo registrato un calo di 700mila persone al giorno, per smart working o per cassa integrazione. Infine sono spariti gli universitari e gli utenti di fiere e congressi».

La previsione per settembre parla del 25 per cento degli esercizi commerciali che non riapriranno. I più penalizzati sono alberghi e ristoranti del centro. Il Pil lombardo, secondo le stime, si contrarrà del 12-13 per cento quest'anno. Ieri l'Ufficio studi di Confcommercio Lombardia ha calcolato una perdita di 22,6 miliardi di consumi in regione per il 2020. È il valore più alto, in termini assoluti, a livello nazionale. La Confederazione chiede, là dove è possibile incidere sul fronte interno, interventi concreti e fondi di sostegno alle imprese. Anche l'autunno si annuncia nero infatti, a causa del perdurare dello smart working nelle aziende e della latitanza dei turisti: le prenotazioni per settembre negli hotel sono ferme al 10 per cento della capienza.

Per quanto riguarda le attività produttive, dell'industria e del terziario, il più recente booklet del Centro studi di Assolombarda rilevava al 15 luglio nelle imprese delle province di Milano, Lodi, Monza e Brianza e Pavia il 27 per cento di smart worker e il 51 per cento di impiegati in ufficio. Per l'autunno è difficile prevedere un ritorno in massa nelle sedi cittadine. «I grossi gruppi - sottolinea Marco Berselli, segretario generale milanese di First Cisl, sindacato di bancari e assicuratori - si stanno attrezzando per un rientro graduale, che però non arriverà al 100 per cento delle scrivanie. Cioè ai livelli pre Covid, almeno secondo ciò che ci risulta attualmente». I lavoratori che ne pensano? «Ci sono due linee di pensiero, a seconda delle fasce d'età.

Chi ha figli in età scolare, preferisce continuare con lo smart working. Gli altri cominciano a manifestare stanchezza per tale soluzione, soprattutto perché il lavoro smart si è rivelato ben poco agile e l'ambiente casalingo non ottimale per lavorare».

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