Gianni, vittima del Covid sepolta in una fossa anonima: "Nessuno ci ha avvertiti"

Il calvario di Gianni, vittima del coronavirus dimenticata e sepolta al ''campo 87" di Milano. La famiglia disperato: "Nessuno ci ha detto dove fosse la salma"

Gianni, vittima del Covid sepolta in una fossa anonima: "Nessuno ci ha avvertiti"

Nel "campo 87", alla "fossa 23", è sepolta la salma di Gianni Fossati, una delle tante vittime del Covid-19 finite nella zona ricavata dal Cimitero maggiore di Milano e destinata a quei morti che nessuno reclama. Ma Gianni, 79 anni, dirigente di Rcs per decenni, vicepresidente dell'Accademia italiana della cucina, portavoce del corpo consolare della città meneghina, Grande ufficiale della Repubblica insignito dal presidente Sergio Mattarella e docente a contratto dell'Università La Cattolica, una famiglia ce l'aveva. "Non siamo stati avvertiti, nessuno ci ha detto nulla", spiega il fratello Ivano che non si dà pace.

Una storia triste, l'ennesima di queste settimane dolorose e segnanti. Il professor Fossati, personalità poliedrica e illustre, è morto nell'anonimato, sotterrato nella terra nuda, senza né un epitaffio né un fiore sul feretro. "Trattato da clandestino", dicono i familiari per indicare lo stato di totale abbandono e solitudine in cui, presumibilmente, avrà trascorso i suoi ultimi istanti di vita. Un destino amaro riservato a molte delle persone decedute con coronavirus e per le quali non ci sarà mai più una degna sepoltura.

Vando viene a sapere della morte del fratello due giorni dopo il decesso. La comunicazione gli viene data per vie traverse, mediante alcuni conoscenti. Dal Fatebenefratelli, dove Gianni è stato ricoverato dal 18 marzo al il 24 marzo, giorno in cui è trapassato, non trapela nulla. "Mio fratello aveva tante conoscenza a Bergamo, - spiega al Corriere della Sera - e da lì, non so attraverso che giro, rimbalza fino a noi la notizia del decesso". Da quel momento, Vando si attiva per ricevere conferme: chiama l'ospedale e contatta un amico infermiere del figlio, l'unico in grado di fornirgli qualche informazione chiarificatrice. "Abbiamo tempestivamente avvisato la moglie. - fanno sapere invece dall'ospedale - Telefonava spesso utilizzando il telefono del reparto dedicato ai degenti". Ma la donna, ricoverata al Fatebenefratelli dal 27 marzo, ribadisce di non aver ricevuto alcuna notizia del marito. Così, si affida al cognato per scoprire il destino del poprio congiunto. Si brancola nel buio più totale, per giorni.

Accertato il decesso, resta da capire dove sia stata collocata la salma. Vando comincia a fare delle ricerche, chiama in ospedale e poi i centralini del comune, ma le telefonate finiscono in nulla. Il 4 aprile, in preda alla disperazione, l'uomo scrive una mail indirizzata al sindaco Beppe Sala: "Gentilissimo, sono a chiederle un aiuto... - recita il testo della mail - Mio fratello, Gianni Fossati, è deceduto per coronavirus il 24 marzo all'ospedale "Fatebenefratelli" dove è tutt'ora ricoverata sua moglie. Sono l'unico fratello e ho sauto del decesso da fonti informali". Fossati, senza informazioni e senza risposte alle sue domande, poste in ogni sede possibile, chiede al sindaco come può acquisire il certificato di morte e recuperare gli oggetti personali di Gianni ma, soprattutto, vorrebbe sapere "dov'è il feretro". Poi, gli viene in mente una vecchia conoscenza nei Radicali, e da quella arriva a Lorenzo Lipparini, assessore comunale alla Partecipazione. Lo contatta e gli spiega la situazione. Da lì, la svolta nel tardo pomeriggio del 6 aprile con una mail di poche righe: "Non avendo ricevuto disposizioni da parte dei parenti entro 5 giorni, il Comune di Milano ha sepolto d'ufficio Gianni Fossati il 4 aprile, nel campo 87, fossa 23". Nulla di più.

"E' un'offesa gravissima - dice Vando Fossati - che un uomo debba morire ed essere sepolto senza che la famiglia venga informata.

Inammissibile che un fratello, un marito, uno zio debba andare sotto terra da solo, come se la famiglia fosse legalmente disinteressata alla salma e al suo percorso dopo la morte. Siamo stati trattati come clandestini".

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