I ristoranti milanesi: "Senza aiuti dallo Stato molti non riapriranno"

L'allarme degli operatori: "Niente sarà come prima, solo chi ha lavorato bene si salverà"

I ristoranti milanesi: "Senza aiuti dallo Stato molti non riapriranno"

Era solo ieri ma sembra passato un secolo da quando Milano, sull'onda lunga del dopo Expo, era ascesa a caput mundi della ristorazione, mecca di gourmet da tutta la penisola, ormai regina indiscussa dei locali stellati. Un boom di ristoranti nati come i funghi, non senza qualche ombra sugli improvvisi flussi di capitali che proprio nelle nuove aperture sembravano trovare lo sbocco più naturale. Cosa resterà di questa polvere di stelle all'indomani delle lunghe e devastanti serrate della pandemia sono in molti a chiederselo. I primi sono loro, i ristoratori doc, quelli che hanno tracciato il solco del nuovo life style milanese, e coloro che sono sulla piazza da decenni e hanno resistito alle mode in nome della qualità e della passione. Come Claudio Sadler, gourmet stellato da quando a Milano se ne contavano sulle dita di una mano. È preoccupato: «In 30 anni di attività di grandi crisi ne ho viste tante, dalla guerra del Golfo all'11 settembre al crac finanziario del 2008; il lavoro scendeva per tre-quattro settimane ma poi riprendeva più di prima. Stavolta sento che è diverso, ci sarà una metamorfosi di cui a pagare lo scotto saremo soprattutto noi operatori di fascia alta». Per Sadler un ripensamento sarà indispensabile alla luce dell'inevitabile crollo dei consumi e soprattutto, ahimè, del turismo estero. «Per noi stellati, che abbiamo costi alti e margini bassi, il mercato internazionale è vitale. Per quanto riguarda il pubblico italiano, invece, dovremo fare i conti con le paure della gente e la minor disponibilità economica. In quanti avranno voglia di tornare? Dovremo necessariamente cambiare filosofia, abbassare i prezzi e offrire una cucina più semplice e a buon mercato». Tra i problemi più urgenti dei ristoranti, che restano uno dei settori più colpiti dalla crisi, c'è quello del personale rimasto a casa. «Io ho 30 dipendenti attualmente fermi tra ferie da smaltire e una cassa integrazione limitata a nove settimane. E dopo? Bisognerà valutare come sarà la ripartenza, ma ovviamente non escludo tagli». Molto dipenderà anche dall'entità dei sostegni dello Stato. «La ristorazione è uno dei cardini del made in Italy e del turismo - dice Sadler - e la mano pubblica non dovrà risparmiarsi, saranno indispensabili sgravi fiscali e un accesso al credito a tasso zero. Fiducioso? Non molto...».

Più ottimista Enrico Buonocore, patron della Langosteria, un piccolo impero che conta oggi quattro ristoranti e 220 dipendenti. In questo periodo di stop forzato, tiene su il morale della squadra con continue conference-call per fare training e comunicare nuove strategie gastronomiche. Ai dipendenti ha fatto un regalo che difficilmente potranno dimenticare: prestiti garantiti a integrazione delle misure di sostegno pubbliche per salvaguardare gli stipendi. «Voglio tenere motivata la mia community per quando sarà passato questo tsunami. Certo, non dobbiamo illuderci che finirà presto, anzi molto difficilmente le cose torneranno come prima. Ma dobbiamo avere fiducia perchè sono convinto che quando finalmente sarà passata la paura, ci sarà la voglia di esorcizzare il mostro, un po' come avvenne alla fine del proibizionismo; la gente avrà una voglia matta di tornare a divertirsi. Forse i primi segnali potremmo vederli a Natale». Già, anche se ci sarà forse meno voglia e meno possibilità di spendere. «Non sarà una ripresa semplice, e certo non uguale per tutti. La nostra holding è molto solida, ha un core bunisess forte e può permettersi di aspettare tempi migliori. Chi ha vissuto alla giornata e non ha saputo coltivarsi in questi anni una famiglia di collaboratori, come pure chi si è improvvisato nel boom della ristorazione solo a fini speculativi, ne uscirà con le ossa rotte». Molti ristoranti, pur di non abbandonare il rapporto col pubblico, in questo periodo hanno sperimentato il delivery, ovvero piatti a domicilio. Una formula su cui Buonocore nutre molti distinguo: «Oggi il delivery è una formula associata a un mercato chip che cozza completamente con la nostra filosofia di qualità e servizio. Non escludo in futuro di considerare questo strumento ma in una chiave completamente nuova: porterei a domicilio non i piatti di Langosteria ma prodotti di alta gastronomia con cotture da ultimare a casa e con un packaging esclusivo e sostenibile».

Per Matteo Torretta, chef e titolare di Asola nel Bryan & Barry Building, la vera sfida sarà adottare tutte le garanzie di sicurezza per convincere il pubblico a tornare a fidarsi di andare al ristorante: «Bisognerà avere il coraggio di fare un passo indietro, rispettare le regole e dimezzare i

coperti, spalmando il lavoro su più turni. È ora che anche gli chef facciano meno spettacolo e tornino a dedicarsi di più al cliente, con ricette più rassicuranti e una spesa più mirata alla massima qualità delle materie prime».

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