Nella "savana" del Biellese cresce il riso di montagna

Ai piedi delle Prealpi dove si scorge la catena del Rosa per gustare panissa, sformati di verdura e crocchette

Nella "savana" del Biellese cresce il riso di montagna

L a Baraggia biellese l’ho scoperta grazie a Carlo Zaccaria, che dopo gli studi all’istituto agrario di Vercelli e la laurea in scienze biologiche, ha preso in mano l’azienda di famiglia a Cascina Margaria. La Baraggia è un terreno arido e argilloso di origine alluvionale, qui la chiamano «la savana del Biellese». Eppure proprio grazie a questo terreno che scende dalle Prealpi alla pianura, nasce un riso straordinario, un riso di montagna, il più settentrionale d’Italia e uno dei più alti, in tutti i sensi, del mondo. Nelle giornate limpide come questa, di vento freddo, le montagne sembra di toccarle: lontana la punta del Monviso, poi la Serra Morenica di Ivrea e, oltre, la Val d’Aosta, poi le Alpi Biellesi con il Santuario di Graglia, il Mombarone, il Mucrone e il Santuario d’Oropa. Su tutto il Monte Rosa con le sue vette. Dall’acqua dell’Elvo e del Sesia, matura questo riso speciale che sente il freddo e vive in un terreno pesante. Ma le contrarierà, la lotta per la sopravvivenza fortificano, temprano e il riso di montagna è più forte, saporito e resistente alla cottura. Alla Cascina Margaria, la famiglia Zaccaria, che arrivò qui negli anni ’50 del secolo precedente, ha il controllo totale della filiera. Il riso viene raccolto, raffinato, inscatolato (le scatole le disegna Carlo) in azienda. Ed è giunto il momento di metter alla prova il riso di montagna. Andiamo a Cavaglià, paese dove ci attende un grande risotto alla panissa ma anche la Stonehenge del Piemonte. All’ingresso del paese, in prossimità della rotonda della statale Santhià–Biella, in un’area risistemata e recintata, sono stati collocati, dopo anni di abbandono e incuria, 11 menhir disposti in maniera circolare a formare il cosiddetto «Cromlech». Si tratta del cerchio di pietre più grande della regione. La Sovrintendenza di Torino li ha datati al 4.000-5.000 a.C. In paese, finalmente ci sediamo alla tavola dell’Oca Bianca. Oche dappertutto nel locale e nel piatto: strepitosa la coscia con la verza. Non neghiamoci nulla, ecco il riso con la panissa: lardo, cipolla, fagioli secchi saluggini, cotica di maiale (per il brodo); riso, lardo, cipolla, vino rosso, salam d’la duja (salame sotto grasso), conserva di pomodoro, grana padano grattugiato; pepe nero, alloro (per la panissa). Vengono in torpedone dalla Svizzera per provarlo. E dopo, oltre i formaggi con la marmellata di castagne e un goccio del rum speciale della casa, forse un gelato dell’Agrigelateria Dossi aiuta la digestione. A Salussola, poco distante dalla Cascina Margaria, c’è l’Agriturismo Fattoria delle Rose. Riposo e verdure dell’orto che troviamo negli sformati e nelle crocchette. Da assaggiare il «tartrà», antico budino salato un tempo sempre presente nelle cascine piemontesi. Verso Netro, dove all’Albertana ci attendono gli indimenticabili caprini d’Elvo e altri grandi formaggi, impossibile non addentrarsi nella riserva naturale della Bessa. Dieci chilometri quadrati di paesaggio lunare, cumuli di grandi dimensioni, costituiti di sassi di varia grandezza, accostati come dune di un deserto. Tra un cumulo e l’altro, cortine di piante e cespugli spesso impenetrabili. Questo territorio venne modificato dal lavoro di migliaia di uomini, Ictimuli o Vittimuli. I romani li sfruttarono per trasformare la Bessa in una delle più grandi miniere d’oro a cielo aperto del mondo. Secondo la leggenda, stanchi della schiavitù, cominciarono a sottrarre piccole quantità d’oro che fusero in una statuetta a forma di cavallo. Dovrebbe essere ancora laggiù, sepolta sotto i sassi o i cespugli. Una terra varia, il biellese, che a Candelo ci offre il famoso «Ricetto», struttura fortificata tardo-medievale (XIII-XIV sec.) realizzata dalla comunità contadina su un fondo in origine proprietà dei nobili Vialardi di Villanova e poi riscattato dai Candelesi. In origine, il «Ricetto» doveva fornire protezione stabile ai beni della comunità, i prodotti della terra, granaglie e vino in primo luogo. In casi di estremo pericolo diventava rifugio per il popolo. Questo «Ricetto», a differenza dei 200 suoi omologhi in Piemonte, di cui 112 nel Biellese, in gran parte scomparsi o modificati, ha subito, nel complesso, pochi cambiamenti. Anche la cucina della trattoria D’Oria, ai piedi del «Ricetto», ha subito qualche rimaneggiamento (carpaccio di tonno marinato dagli agrumi e pistacchi) ma per il resto rimane fedele ai sapori della solida cucina piemontese: peperone in bagna cauda, agnolotti di carne, risotto al Maccagno. Il Maccagno è un cru della toma dell’alpe omonima che si trova sotto il monte Cossarello a nord di Biella. A Candelo, nel 2009, da un’idea di Enrico Terzo, è nato il birrificio «Un Terzo», pluripremiato per le sue birre frutto di interessanti sperimentazioni: «Sciatò Margot», con aggiunta di uve Erbaluce coltivate sul Lago di Viverone.

Creatività e collaborazione con altre realtà produttive hanno portato a: «Il Margot», formaggio alla birra; King Enri, birra con infusione di caffè Bugella; perfino il sapone artigianale alla birra. Una Baraggia da leccarsi le dita.

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