No al manicomio, Kabobo resta in cella

No al manicomio, Kabobo resta in cella

Forse un po' a sorpresa, considerato il delirio mentale nel quale era sprofondato, ma Adam Kabobo non sarà trasferito in un ospedale psichiatrico. A deciderlo sono stati i giudici del Riesame, secondo i quali il ghanese - che nel maggio scorso uccise tre persone a picconate nel quartiere di Niguarda - dovrà affrontare il processo per omicidio dalla sua cella di San Vittore. In sostanza, per il tribunale Kabobo è ancora pericoloso per sè e per gli altri, e il penitenziario milanese può assicurare e a lui (e agli altri detenuti) l'incolumità che un manicomio non potrebbe garantire, e al tempo stesso fornirgli un'adeguata assistenza medica.
«Ritiene il collegio - si legge dunque nel provvedimento di undici pagine con cui i giudici hanno respinto la richiesta dei difensori del ghanese di trasferire l'imputato in un luogo di cura - che sulla base della perizia redatta dal dottor Scaglione con l'apporto del dottor Bianchi, specialista in psichiatria, ed esaminati gli atti, non sussita una condizione di incompatibilità della patologia dalla quale è affetto il Kabobo con la custodia cautelare in carcere». Secondo il Riesame, tutti i medici incaricati in qualità di periti o di consulenti di parte di valutare le condizioni di salute del ghanese sono stati concordi nell'affermare che soffre di schizofrenia paranoide. In particolare Marco Scaglione, il medico legale nominato dai giudici per svolgere un supplemento di perizia finalizzata proprio a valutare la compatibilità di tale patologia con la custodia in carcere, ha sostenuto che «non si può ritenere che vi siano controindicazioni sostanziali verso l'ambiente in cui si trova il signor Kabobo attualmente, né nel regime terapeutico impostato. Qualora si trovasse ricoverato in un reparto ospedaliero di psichiatria, oppure in ospedale psichiatrico giudiziario, gli psichiatri che si occupassero del soggetto farebbero ben poco di diverso dai colleghi di San Vittore: cercherebbero di adeguare le terapie come dosaggio e tipo di farmaco impiegato fino a trovare il mix più efficace nel controllo della sintomatologia, operazione che possono certamente compiere gli psichiatri del carcere», tanto più che «tale adeguamento della terapia farmacologica ben può essere messo in atto dagli psichiatri del carcere al pari dei sanitari di una struttura esterna». Ma è anche vero, scrive ancora Scaglione, che «ragionando in astratto, logica vorrebbe che, presentando egli una malattia mentale, venisse ospitato in una struttura esterna con maggior specificità nel trattamento di queste patologie. Non si tratterebbe di porre in atto solo trattamenti farmacologici e di sorveglianza, infatti, ma di coinvolgere il soggetto anche in attività di riabilitazione, tenuto conto anche della sua giovane età». Il Riesame, però, ha preferito non ragionare «in astratto», optando per la detenzione in carcere.


E lui, Kabobo, come sta dopo otto mesi da recluso? «Fisicamente bene - ha detto ai periti che l'hanno visitato -, psicologicamente stomigliorando, ma sento ancora delle voci che mi dicono che i bianchi sono quelli che mi hanno ridotto così».

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