"O l'elemosina o le botte". Condanne al racket dei rom

Pene fino a 10 anni e 8 mesi per i cinque nomadi che obbligavano i disabili alla questua in strada

"O l'elemosina o le botte". Condanne al racket dei rom

Associazione per delinquere finalizzata alla tratta e alla riduzione in schiavitù. Un gruppo criminale che sfruttava «in maniera continuativa» l'attività di «accattonaggio» delle «vittime» disabili che avevano paura delle «violente ritorsioni»: condannati a pene tra i 10 anni e 8 mesi e i 3 anni e 4 mesi cinque nomadi romeni. A incastrarli sono stati soprattutto i video delle violenze cui sottoponevano i loro schiavi, tutte persone con disabilità o menomazioni fisiche. Filmati raccolti dagli investigatori da cui si capisce chiaramente che venivano sistematicamente picchiati e costretti a mendicare per loro. Li portavano ogni mattina in punti prestabiliti della città, li costringevano a chiedere l'elemosina, a fine giornata si prendevano tutti i soldi. E se la cifra raccolta era inferiore ai 30 euro, talvolta anche ai 50, giù altre botte. Come succede nel video in cui uno dei loro schiavi, un uomo senza una gamba, le prende perché a fine giornata aveva in tasca meno di 50 euro. A gestire questo sistema di riduzione in schiavitù, che i magistrati descrivono come una vera «struttura criminosa», era un gruppo di romeni, arrestati un anno fa. Cinque di loro sono stati condannati ieri con rito abbreviato dal gup Alessandro Santangelo: 10 anni e 8 mesi per Murat Asan e Isma Asan, considerati i due capi dell'organizzazione, 9 anni e 2 mesi per Samir Memet, tre anni e 4 mesi per Cadrie Asan e 4 anni per Jeane Ibram.Il giudice ha accolto in sostanza le richieste avanzate dal pm Piero Basilone che ha coordinato le indagini condotte dagli agenti della polizia locale. Mai cinque condannati non erano gli unici a fare parte della banda: se altri due imputati sono stati assolti, restano sei persone, arrestate nelle settimane successive al blitz del novembre di un anno fa, che sono ancora a processo, sempre con il rito abbreviato, davanti ad un altro gup. Mentre un altro nomade romeno, che secondo gli investigatori faceva parte del gruppo, risulta ancora latitante.

L'organizzazione, ha scritto il giudice, gestiva la rete con telefoni cellulari e svariate schede telefoniche, era «dotata di idonei supporti logistici» costituiti dagli «automezzi per il trasporto delle persone», utilizzava per «allocare i soggetti sottomessi» alcuni «stabili in disuso». Twitter @giulianadevivo

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