"La pista di Buenos Aires ci fa più danni del lockdown"

I negozianti tirano le somme: affari calati del 20%. La nuova mobilità crea solo caos e allontana i clienti

"La pista di Buenos Aires ci fa più danni del lockdown"

Di solito il proverbio dice: «Ha fatto più danni della grandine». E invece nel caso della pista ciclabile di corso Buenos Aires e viale Monza si può tranquillamente affermare che ha prodotto «più disastri della pandemia». «In questi difficili mesi - spiega Gabriel Meghnagi, presidente della Rete associativa vie di Confcommercio Milano - è stato calcolato un calo di fatturato del 35%». La colpa, direte, sarà delle restrizioni governative, del coprifuoco, della paura di andare in giro. Sì, ma solo in minima parte. La vera mannaia sul capo dei commercianti è stata infatti la «rivoluzione» a pedali. «Di tutto il fatturato andato in fumo - rivela Meghnagi - solo il 15% è dovuto al virus e si risolverà molto presto. Il restante 20% è opera della pista ciclabile». Che allontana clienti, non riduce lo smog e rischia di produrre una raffica di licenziamenti. L'equazione è semplice: «Meno incassi uguale meno personale».

Che poi per quanto l'amministrazione si ostini a ritenerla una grande iniziativa, la ciclabile è indigesta a quasi tutti: ciclisti, commercianti, trasportatori, tassisti. Dopo il nostro reportage, sui social i cittadini ne hanno confermato limiti e pericoli. Nessuno di loro è ideologicamente contrario. Solo riconoscono come la pista non sia stata realizzata per fare un «servizio ai cittadini» ma al solo scopo di «aumentare a caso il chilometraggio delle ciclabili» per scalare la classifica delle città più green. Eppure un percorso a pedali, ragiona Alessandro, «non è sempre funzionale in quanto tale: anche l'aria condizionata rinfresca, ma non vuol dire che devo per forza installarla se abito al Polo Nord». Tradotto: se una cosa va fatta, va fatta con logica. Non tanto per il gusto di piazzare una bandierina. «I ciclisti migliorano il traffico - dice Mario - Ma mi spiace e mi preoccupa che debbano attraversare quell'ingorgo inermi».

Già, perché il primo dei problemi riguarda proprio loro. Partire da Turro per arrivare a Porta Venezia significa infilarsi in una sorta di percorso a ostacoli. «La pista è tracciata male e la segnaletica a dir poco scellerata», insiste Mario. Sarebbe bastato spostare tutto sulle «strade parallele che sono molto più sicure. «Invece no: auto che attraversano la pista per posteggiare, bus fermi in mezzo al percorso, taxi che svoltano a destra rischiando di investirti». Un inferno per chi le percorre, aggiunge Ernesto, «essendo delimitate solo da una striscia dipinta sull'asfalto, senza la protezione di adeguati cordoli». Senza contare che la ciclabile «restringe in modo significativo la carreggiata, creando ingorghi al traffico con conseguente aumento di smog». E poi i problemi per i taxi, per i fattorini, per i soccorsi. «Un gran casino», scrive Terry. «Il tratto da casa al lavoro è passato da 30 a 50 minuti di media», aggiunge Michele.

Il discorso, peraltro, vale anche in altre zone della città: «Tutto il percorso da via Zurigo a piazza Piemonte - segnala Piero - è stato trasformato in una gigantesca camera a gas. Essendoci una sola corsia disponibile per ogni direzione di marcia, quando i furgoni destinati alle consegne devono scaricare si blocca tutto il traffico».

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