«Quei medici mutilavano i pazienti»

«Quei medici mutilavano i pazienti»

Finisce con un appello ai giudici: «Avete di fronte dei chirurghi che si presentano bene, sanno esprimersi correttamente, a cui la vita ha offerto la possibilità di laurearsi in un mestiere che dovrebbe coniugare etica e capacità professionale. Da qualche parte, nascoste nell'ombra, ci sono le voci delle vittime, vi chiedo lo sforzo di conoscerle». E così, al termine di una durissima requisitoria, la pubblica accusa formula la richiesta di condanna nel processo-bis contro l'ex primario della clinica Santa Rita, arrestato nel 2008: ergastolo e due anni e mezzo di isolamento diurno per omicidio aggravato dalla crudeltà di quattro pazienti della casa di cura, operati per ottenere i rimborsi dal sistema sanitario nazionale, oltre a 45 casi di lesioni. Poi, ergastolo con un anno di isolamento diurno per Fabio Presicci, e 18 anni per Marco Pansera, i suoi vice.
Un requisitoria che ha ripercorso la storia clinica delle quattro persone morte alla Santa Rita: Antonio Schiavo, 85anni; Giuseppina Vailati, 82; Maria Luisa Scocchetti, 65; Gustavo Dalto, 89. Uccise, secondo la Procura, dalla spregiudicatezza del primario e dei suoi assistenti, disposti per soldi a «mutilazioni», dimostrando una totale assenza del «senso dell'umanana pietà». Ecco, le storie di chi non c'è più. «I medici mi avevano rassicurato che l'intervento era una cosa banale - ha raccontato il nipote di Schiavo -. Quando mio nonno è morto, Brega ha detto che era scoppiata una vena del cuore». E ancora: «Mi era stato detto che mia mamma poteva morire soffocata - ha ricordato il figlio di Scocchetti -, ma che con questo piccolo intervento si poteva tirar via l'acqua dai polmoni. Brega aveva detto che l'intervento era urgente, ma prima dell'operazione mamma stata benino, dopo soffriva». Pradella si è chiesta «perché i medici hanno portato sul tavolo operatorio un paziente con gravi problemi cardiaci» come il signor Schiavo. «Non sapremo mai se avesse davvero un tumore ai polmoni, perché all'epoca non era stata chiesta l'autopsia». L'85enne, ha proseguito, «è morto per un'emorragia da lacerazione al cuore» e il punto è che «il chirurgo sapeva dei suoi problemi cardiaci, sapeva che il paziente era grave e anziano e che l'opzione chirurgica non era l'unica. Ma Brega Massone voleva comunque effettuare l'intervento, qualsiasi rischio comportasse per il paziente», incluso il rischio «che il paziente morisse». Del caso di Giuseppina Vailati, cardiopatica di 82 anni, il pm ha detto che «il rischio di morte della paziente era del tutto prevedibile». La signora «Vailati è stata operata in condizioni fisiche terribili, nella più assoluta inutilità dell'intervento», e la paziente è morta «senza che vi fosse alcuna certezza che avesse il tumore polmonare per cui le è stato asportato un pezzo di polmone». E tutto per i rimborsi pubblici.

«Brega Massone - è il conto del pm - ha fatto fatturare tre milioni di euro alla clinica Santa Rita e ne ha presi 300mila in percentuale». E le vittime? «In quest'aula - concluide Pradella - da parte di Brega Massone non si è sentita nessuna reale parola di commiserazione per i pazienti».

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